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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2012 alle ore 08:27.

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Dagli anni Novanta a oggi si sono ridotti i lotti di produzione, «di dieci volte», dice Travaini. «È rimasto sul mercato soltanto chi ha accettato la sfida e ha rilanciato sul made in Italy – continua – investendo in qualità e design». Investire non per produrre di più, aggiunge, ma meglio e in maniera flessibile rispetto alle richieste, «come fossimo un sarto, ma dei rubinetti» sorride Travaini. E proprio come un sarto Gattoni vestirà un corpo lavabo, grazie all'aiuto di tre designer, Marco Piva, Luca Scacchetti e Pietro Gaeta, «da proporre in tre versioni diverse e interscambiabili.

L'idea è rendere il design sempre più fruibile, sfruttando il nostro know-how tecnologico». Investire è una parola centrale nelle analisi. Lo sanno bene alla Carlo Nobili Rubinetterie, 63,6 milioni di ricavi e oltre 240 addetti, azienda guidata da Alberto Nobili: «La continua ricerca sul prodotto rappresenta l'unico modo per aggredire il mercato». La scelta della Carlo Nobili Rubinetterie è chiara: 60 milioni di investimenti in 5 anni per internalizzare i processi produttivi e garantire all'azienda – che, tra le ultime acquisizioni, ha assunto il controllo della storica Rubinetteria Stella – tra le più alte percentuali di robotizzazione. «Siamo stati tra i primi a dotarci di una macchina di prototizzazione rapida» aggiunge Nobili, e la rapidità nel rispondere alle richieste del mercato è un tratto distintivo della Nobili con un listino che, tra 2011 e 2012, ha registrato oltre 200 nuovi modelli, tutti rigorosamente made in Italy.

«Una volta bastava l'innovazione di processo, eravamo strutturati a fare bene – riprende Rizzio – oggi bisogna puntare sull'innovazione di prodotto, il design, la ricercatezza. Ma anche questo non basta, perché l'innovazione deve riguardare anche il marketing e la rete commerciale». Su questo in pochi hanno dubbi. Un distretto votato all'export come quello della rubinetteria piemontese deve strutturarsi a guardare oltre i confini europei, parola di un nome importante delle valvole quale Cimberio, 200 addetti, 50 milioni di ricavi: «Il nostro fatturato è al 90-95% fatto all'estero – spiega il presidente Renzo Cimberio – e nel 2012 registriamo un calo dai mercati tradizionali, tutti stanno soffrendo e settembre è un'incognita». Il «vero» export, come lo definisce Rizzio, «è oltre Europa e Usa, bisogna agganciare le economie più ruggenti e strutturare le reti commerciali».

Finito, da un bel pezzo il tempo dell'imprenditore che parte, in Germania o Francia, con la valigia del suo campionario. Una tendenza raccontata nell'analisi dell'export novarese nel primo trimestre 2012 della Fondazione Edison, da cui emerge un calo dello o,4% sul 2011 contro una crescita media della provincia del 5,2%. Con una contrazione, in particolare, dei flussi verso Uk (-20,5%) e Svizzera (-26,6%) mentre tengono Francia e Germania. Le esportazioni verso i paesi emergenti, osserva la fondazione, pesano per circa il 20 per cento. Ancora residuale il valore dell'export verso i Bric: 9,9 milioni nel primo trimestre dell'anno.

Secondo l'Osservatorio del Monitor distretti di Intesa Sanpaolo, il punto debole della rubinetteria del Cusio sta tutto nell'ancora debole presenza sui mercati emergenti: solo il 5,6% dell'export nel 2011, ad esempio, sono state dirette verso Brasile, Russia, India, Cina, Hong Kong. Una quota troppo bassa, una lacuna da colmare. «È un ritardo che le imprese del distretto devono recuperare» spiega Giovanni Foresti, economista del servizio Studi dell'Osservatorio.

Rispetto ai concorrenti-partner di Lumezzane (Bs), i novaresi restano un passo indietro, soprattutto rispetto al mercato russo: «I produttori lombardi – scorre le cifre Foresti – si attestano a quota 4% di export destinato ai mercati russi, in Piemonte si scende al 2,5». Stesso discorso vale per il mercato polacco, spiega ancora Foresti, dove i produtori lombardi esportano il 3,5% della quota export mentre i piemontesi si fermano all'1,6. Numeri che fanno vedere a Foresti il bicchiere mezzo pieno: «le aziende hanno opportunità ancora da sfruttare». Da queste parti poi spesso la Cina ha rappresentato la minaccia sul mercato, il paese che produce a basso costo e penalizza i locali. Per certi versi, un mito da sfatare: «Da uno studio realizzato per capire quanto pesa la concorrenza cinese – riprende Foresti – emerge che l'Italia si è difesa sul mercato e lo ha fatto meglio rispetto ad altri competitor come, ad esempio, Giappone, Usa, Francia». Certo, ci siamo difesi peggio dei tedeschi, ma comunque il made in Italy nella rubinetteria è riuscito a limitare l'avanzata cinese. Merito dell'innovazione, e del posizionamento nell'alto di gamma. «L'Italia ha aumentato le sue quote di mercato proprio nei prodotti di alta fascia di prezzo».

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