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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2012 alle ore 08:23.

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A Possagno si sono legate la forza e la debolezza dei distretti: da un lato la specializzazione sul prodotto principe, che ha portato a sviluppare competenze e fattori di conoscenza; dall'altro, una concentrazione assoluta che portava a perdere di vista altre esigenze del mercato, altre richieste. È andata avanti così, fra cicli espansivi e brevi recessioni, in un Paese con molto da costruire e una passione per le seconde case.
Negli anni Ottanta nasce un consorzio, per far fronte all'emergenza materia prima: «La sollecitazione era forte, e da più parti, Regione in primis, ci veniva fatto capire che serviva un unico interlocutore nei rapporti l'ente pubblico, per fare sintesi delle esigenze di tipo estrattivo delle aziende e chiedere le autorizzazioni necessarie».

Il passo, a parlare anche di altro rispetto alle forniture è stato breve: lo chiamavano significativamente Onu, quel nucleo di collaborazione, di uffici condivisi. Conteneva anche una innovativa e inedita clausola di mutuo soccorso, «se uno finiva l'argilla, gli altri aiutavano. Ci si trovava a discutere di approvvigionamento, e si finiva a parlare di molto altro» ricorda Gianpaolo Vardanega, che di quell'esperienza faceva parte.
Negli anni Novanta, l'inchiesta del Sole-24 Ore descriveva un distretto con nove industrie, una predominanza di cognomi – Vardanega e Cunial, ancora oggi perfino le pompe funebri e la rivendita di funghi lungo la strada portano uno di questi cognomi – e una produzione leader, pari al 90% dei coppi nazionali.

La svolta era alle porte: dal 1995 il settore entra in difficoltà, e mantenere sotto lo stesso ombrello una pluralità di aziende concorrenti diventa un problema. Si studiano fermate programmate e si rinforza la sinergia. La scelta è fra rilanciare la collaborazione o andare ognuno per la propria strada. Nell'estate 1997 i protagonisti decidono la nascita delle Industrie Cotto Possagno: un nuome nuovo, nessuna egemonia. «Una fusione senza paracadute», la definisce Alessandro Vardanega, attuale presidente oltre che leader degli industriali trevigiani – «perché fin dal primo momento non ha preso in considerazione la possibilità di una via d'uscita o il passo indietro. Nessuno ha tenuto per sé un solo asset, nemmeno immobiliare: magazzini, crediti, impianti, fabbricati, personale, tutto è confluito in un'unica nuova realtà. Definitiva». La neonata Icp affronta i punti deboli, come la concentrazione su un solo prodotto: investe nella produzione di accessori per completare il manto di copertura degli edifici, pezzi speciali e tutto il necessario a fornire un "sistema tetto", recuperando quanto prima veniva affidato a terzisti. Inizia a puntare con decisione sui mercati del Sud Italia, avvicinandosi geograficamente con l'acquisizione di una concorrente in provincia di Pesare e Urbino.

Per diversificare, diventa d'obbligo produrre anche tegole, più diffuse nei mercati comunitari: si lavora di design, si moltiplicano i colori e i formati, si punta sulla qualità, per far passare il messaggio che la produzione qui si fonde con l'innovazione. Ne è un esempio la tegola fotovoltaica, che permette di unire efficienza e risparmio energetico con l'estetica. La propensione verso l'estero sfonda in Francia, Inghilterra, fino al Medio Oriente. L'effetto è complesso: «Le industrie sono cresciute – osserva Vardanega –. In parte la tegola ha eroso le quote del coppo, in parte ha attaccato la concorrenza». E se c'è un modo di affrontare l'attuale crisi dopo una lunga fase espansiva, che sta penalizzando l'edilizia, «la nostra scelta è presidiare la fascia alta del mercato, l'eccellenza intrinseca ed estetica. Per questo serve coerenza anche nella politica di prezzo: non svendiamo per fare volumi, siamo su listini mediamente superiori del 20% rispetto a quelli dei competitor, ma questo è il nostro dna. Non facciamo un prodotto di massa. Informiamo sulle caratteristiche acustiche e in termini di consumi energetici e di benessere dell'abitazione, perché manca ancora consapevolezza nel consumatore: tutti sono abituati a scegliere gli infissi, ma al tetto ci si pensa poco. Mettiamo da parte l'ansia di conquistare ordini e valorizziamo il nostro prodotto per quello che garantisce. Guardare fuori dai confini italiani consente di programmare con maggiore tranquillità, anche se si tratta ancora di una quota minoritaria».

L'export non supera il 20 per cento. Il costo del trasporto è una barriera difficile da abbattere. Solo a nominare l'attesa Pedemontana veneta, c'è chi si dice pronto a ubriacarsi quando, finalmente, sarà pronta. Le fornaci hanno chiuso il tempo necessario per la manutenzione, in agosto; quest'anno ha scontato anche il fattore meteo, perché il tetto – la parte più esposta del cantiere – si ferma quando le condizioni sono difficili, e il 2012 non ha risparmiato le nevicate. Il distretto è cambiato, è diventato capital intensive sacrificando posti di lavoro per recuperare efficienza, ha diminuito la quantità ma ha mantenuto il valore della produzione perché ne ha accresciuto il valore, ha diversificato per scoprirsi meno vulnerabile. Gianpaolo Vardanega si definisce «il più vecchio fra i giovani di adesso, il più giovane fra i vecchi che hanno deciso la fusione», e sorride mentre rilegge la pagina pubblicata da questo giornale nel marzo 1992, il titolo dedicato al "Monopolio del coppo": «Fa piacere rivedersi dopo tanto tempo, ancora qui». Non sono in molti a potersi permettere questa serenità, 20 anni dopo.

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