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Questo articolo è stato pubblicato il 02 settembre 2012 alle ore 08:13.

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All'ambiente guarda anche la conceria Incas, 190 dipendenti e 52 milioni di ricavi in crescita nel 2012, la prima ad avere ottenuto la certificazione Emas su questo fronte. «Crediamo nell'innovazione tecnologica e nel contenuto moda dei prodotti», dice Pietro Rosati, titolare dell'azienda che controlla tre marchi propri (Incas, Il Veliero e Italtan). «Lavoriamo a stretto contatto con le griffe e realizziamo in casa l'intero ciclo produttivo, dal materiale grezzo al prodotto finito. Ci hanno proposto di delocalizzare, sia in Giappone che in Cina – continua –, ma noi crediamo nella forza del made in Italy e, nonostante i problemi nazionali e locali, dalla burocrazia alla viabilità inadeguata, siamo rimasti sul territorio».

Nel distretto conciario di Santa Croce sull'Arno e Ponte a Egola viene realizzato il 98% della produzione italiana di cuoio da suola, il 35% di quella di pelli per calzature, pelletteria e abbigliamento, e il 30% delle macchine per conceria. Nei primi sei mesi del 2012 il trend di crescita è proseguito (+8% il valore aggiunto), dopo la frenata del biennio 2008-2009, e le esportazioni hanno fatto segnare il miglior risultato nazionale del comparto (+10%).

«Il clima che si respira nel distretto è positivo – conferma Divo Gronchi, amministratore delegato della Cassa di Risparmio di San Miniato, la banca di riferimento del polo pisano –. Da dicembre a oggi abbiamo aumentato gli impieghi del 4 per cento e la raccolta sta crescendo di conseguenza, anche se non tutti i settori dell'economia e non tutte le aziende attraversano un momento favorevole, come nel caso delle imprese a valle della filiera e dei piccoli artigiani, verso i quali anche il sistema bancario si sta dimostrando più freddo».

Negli ultimi vent'anni, anzichè essere travolto dalla concorrenza internazionale, come avrebbe potuto, il distretto si è dunque rafforzato.
«Abbiamo la leadership mondiale nel cuoio per la suola delle calzature», sottolinea Giuseppe Volpi, presidente del Consorzio conciatori di Ponte a Egola, che raccoglie i produttori del comparto, quasi tuti dislocati sulla riva sinistra dell'Arno. «La crisi non ci ha piegati – continua –, perchè siamo più strutturati di un tempo e abbiamo una buona presenza internazionale».

Il polo pisano, insomma, appare come un'isola felice, con ricavi industriali che tengono o addirittura migliorano e un tasso di disoccupazione fisiologico (intorno al 5%), ben al di sotto dell'attuale media italiana (10,8%) e anche toscana (7%). Il recente accordo quadro territoriale del settore conciario, siglato dalle parti sociali, come sottolinea Osvaldo Ciaponi, sindaco di Santa Croce sull'Arno, «è la dimostrazione del fatto che in questa zona mantiene piena validità lo strumento della concertazione e, oltre ai contenuti legati al welfare, alle relazioni sindacali, ai premi e agli incentivi economici, conferma la volontà di fare fronte comune rispetto al rischio che si possa bloccare l'accordo di programma per la riorganizzazione del sistema di depurazione delle acque».

Le amministrazioni locali, gli imprenditori e le organizzazioni dei lavoratori chiedono alla Regione di andare avanti con gli investimenti (200 milioni, di cui 14 messi dai privati) che consentiranno al distretto di utilizzare le acque depurate degli scarichi civili, evitando così di attingere alle falde (vedere altro servizio). «I tempi purtroppo si stanno allungando e l'obiettivo del 2015 è a rischio» commenta Franco Donati, presidente dell'Assoconciatori di Santa Croce. «L'accordo è strategico e deve essere attuato – dice Volpi –, altrimenti potrebbe aggiungersi una criticità ai problemi dell'area, che sostanzialmente riguardano la dimensione delle imprese ancora modesta e l'accesso al credito».

Il polo pisano della concia, negli ultimi vent'anni, ha messo a segno risultati importanti: si è internazionalizzato, ha centrato l'obiettivo della qualità e si è affermato a livello mondiale come punto di riferimento anche sul versante del rispetto ambientale, mantenendo una forte capacità di reazione alla domanda del mercato. «Abbiamo convinto i clienti cinesi a seguirci sulla strada della qualità, a utilizzare il cuoio per le suole delle calzature al posto della gomma, e la pelle migliore per accessori e abbigliamento – dice Maccanti –. Proprio l'alto contenuto moda e la flessibilità produttiva sono le armi che ci consentono di battere la concorrenza, anche quella dei Paesi emergenti». Sarebbe davvero un peccato se i guai arrivassero dalle lentezze della burocrazia italiana.

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