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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2012 alle ore 15:15.

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Dalla «626» la spinta alle scarpe pugliesiDalla «626» la spinta alle scarpe pugliesi

Diterlizzi non è per nulla enfatico, ma ci tiene a precisare che «senza il trasferimento dei tomaifici e altri pezzi della produzione in Albania, il distretto barlettano sarebbe scomparso da un pezzo». Gli italiani ce l'hanno fatta perché hanno combinato design e componenti tecnologiche avanzate. Prima che l'Unione europea dettase le sue regole, il mercato era dominato dalle scomodissime scarpe da lavoro tedesche. La Germania decideva persino quante cuciture dovessero avere e, in perfetto stile teutonico, contemplava soltanto due colori: nero e marrone. Gli imprenditori barlettani hanno totalmente ribaltato questo schema. Per continuare ad alzare il livello della sfida e superare i competitor, gli sforzi degli imprenditori si sono concentrati sulla nascita di un centro di ricerca, una sorta di hub tecnologico denominato «Capsula». Il progetto, che prevede la formazione di tecnici iperspecializzati, figure essenziali nella creazione dei prototipi, è stato presentato già due anni fa. La sede, una vecchia distilleria ristrutturata nel cuore di Barletta, è pronta. Mancano gli ultimi accordi con l'assessore regionale alle Attività produttive e vicepresidente della Regione Puglia, Loredana Capone, che da mesi nega un incontro risolutivo agli industriali barlettani. Assessore Capone, c'è qualcuno in casa?

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