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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2012 alle ore 15:17.

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Il rosso alla riga delle "vendite Italia" è impietoso. All'appello, rispetto ai primi sei mesi del 2011, manca il 16,29 per cento. Eccola la vera spina nel fianco dell'industria italiana delle piastrelle di ceramica che già nel 2011 ha dovuto affrontare un anno difficile, ma chiuso in aumento: +1,9% di ricavi, saliti a quota 4,7 miliardi di euro (6,6 con la ceramica sanitaria del distretto viterbese, stoviglieria, refrattari e il miliardo dagli stabilimenti esteri delle imprese italiane).

Il primo semestre di quest'anno ha restituito invece con ancora maggiore nitidezza l'immagine di un comparto legato a filo doppio al trend calante delle costruzioni e preso di mira da una crisi che va avanti da anni e non molla la presa. Basti pensare che dal 2007 a fine 2011 sono andati persi un miliardo di ricavi (-18%) e 160 milioni di mq di produzione (-27%). Anche le aziende sono calate dalle 206 del 2007 alle 163 di fine 2011, con un taglio di 5mila addetti. L'unica nota positiva sono gli investimenti con cui il settore ha affrontato a viso aperto la crisi: 1 miliardo fra 2008 e 2011.

I primi sei mesi del 2012 non hanno invertito il trend. E così, rispetto ai primi sei mesi del 2011 ci sono circa 100 milioni di giro d'affari bruciati sul mercato interno. Che pesano, eccome, visto che davanti al totale delle vendite nel gennaio-giugno 2012 è ora comparso un – seppur leggero – segno meno (-0,56%). Poteva andare peggio, ma ancor più che negli anni precedenti l'industria delle piastrelle di ceramica – la cui produzione nazionale proviene per l'81% dal distretto di Modena e Reggio Emilia – deve dire grazie alle esportazioni (+4,74%). Ci si è aggrappati talmente tanto ai mercati oltreconfine che la quota export è balzata al 79%, dal 76% circa di fine 2011.

«Al momento – dice Stefano Bolognesi, presidente della commissione Statistiche di Confindustria ceramica e numero uno della Cooperativa Ceramica d'Imola – le condizioni generali tendono a far escludere qualsiasi miglioramento per il secondo semestre». In questo quadro, «il mercato interno è in difficoltà, ma il nostro appeal all'estero ci sta dando risultati gratificanti che finora hanno compensato le perdite in casa». E quindi, puntualizza Bolognesi, «ben vengano incentivi ai consumi interni. Ma per il settore assumono particolare importanza tutti quei fattori che possono renderci più competitivi».

Energia, costo del lavoro, problematiche legate al credito bancario tendono dunque a essere sempre più al centro delle preccupazioni delle imprese del settore, che sanno di doversi misurare con i competitor nel futuro soprattutto sui mercati più lontani. Infatti a tenere alte le esportazioni è stato il versante extra Ue (+12,98%), con Usa (+17,9%), Russia (+13,8%) e Paesi del Golfo (+43,75%) a tirare la volata.

E se si pensa che Russia e Paesi del Golfo pesano ancora non più del 2,5% ciascuno sul business del settore, appaiono chiari tutti i possibili margini di miglioramento. Il puntare su questi mercati rischia poi di diventare vitale se l'area Ue dovesse continuare a mostrarsi anemica (-1,43%), zavorrata da Spagna (-14,5%) e Grecia (-40,96%), ma in cui la Germania (che pesa per l'11% sulle vendite del settore) continua a macinare risultati (+9,05%).

«Il settore nel tempo si è organizzato per poter tendere di più all'estero. Per le aziende ora è inevitabile puntare sulle vendite oltreconfine, anche se non escludo che sul mercato interno si sia arrivati a un minimo da cui si potrebbe ripartire», afferma Maurizio Piglione, amministratore delegato di Marazzi Group, leader di settore che ha chiuso i primi sei mesi del 2012 con ricavi in crescita (+2,5%) a 428 milioni di euro ed Ebitda ugualmente in aumento (+6,2%) con incidenza sulle vendite nette salita al 16 per cento. Il Gruppo Marazzi, che ha business unit in Italia, Stati Uniti, Russia, Francia, Spagna, è stato pioniere del processo di internazionalizzazione del settore, 30 anni fa, con un sito negli Usa. «Oggi all'estero abbiamo i due terzi della capacità produttiva e questo ci permette, per esempio, di essere leader in Russia, dove giochiamo da produttori locali».

Se è vero che sta dando risultati, il modello dell'internazionalizzazione produttiva non è però certo alla portata di tutti: servono spalle larghe e investimenti. Chissà che questa non sia la molla per reti e aggregazioni che la congiuntura, soprattutto nazionale, potrebbe rendere indifferibili. «Fra nuove abitazioni e ampliamenti nel 2007 erano state ultimate 338mila abitazioni. Nel 2012 si scenderà a 178mila», afferma Francesco Toso, ricercatore Cresme. «L'Italia – aggiunge – è fra i Paesi messi peggio in Europa, con investimenti nell'edilizia residenziale che prevediamo in calo del 4,5 per cento nel 2012, con un -9 per cento nel nuovo». All'estero invece, conclude Toso, «secondo le nostre previsioni gli investimenti nel residenziale a fine 2012 saliranno del 6,5% annuo in Asia, del 7,4% in Sudamerica, del 3,4% in Nordamerica e dell'1,5% nell'Europa, nel suo complesso».

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