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Questo articolo è stato pubblicato il 25 settembre 2012 alle ore 18:28.

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I tempi medi della crisi e la recessione seguita alle fibrillazioni sui debiti pubblici impongono un salto per riposizionare imprese e territori. Esaurita la fase eroica del capitalismo di territorio, la crisi ha inflitto un duro colpo anche al nuovo industrialismo, nato dalle ceneri del fordismo e dei distretti, fatto di medie imprese e piattaforme d'area vasta. Dentro la crisi, sta crescendo un nuovo made in italy, che tenta di ibridare business e ambiente; o sarà green o - forse - non sarà affatto! E il messaggio è stato recepito dalla frazione più dinamica dell'impresa e dalle amministrazioni.

Green economy, però, è ancora solo un'ipotesi, da situare nelle condizioni reali del ciclo capitalistico e nei territori che compongono il mosaico dell'Italia produttiva. La Liguria, per storia e vocazione, non è un modello di economia sostenibile, né un luogo cruciale del made in Italy. Chi frequenta indici e classifiche, può osservare che nelle graduatorie del green è quasi sempre nella parte bassa. Lo sviluppo delle tre Ligurie - Genova, il Ponente e il Levante continuano a essere realtà poco integrate - è da sempre legato alla posizione. Genova è proiettata verso l'entroterra padano e centroeuropeo almeno quanto è protesa verso il Mediterraneo, così anche Savona e La Spezia. Tutte stavano meglio nel capitalismo industriale, quando i porti fissavano nelle adiacenze l'industria di base, l'acciaio e il petrolio. In cima alle priorità del territorio restano i porti e la logistica, gli spazi da strappare al mare e soprattutto le banchine secche oltre Appennino. E infrastrutture e nodi che fluidifichino i flussi, eliminino i colli di bottiglia, taglino i tempi.

Green economy, tuttavia, più che una gamma di prodotti è un approccio, il fare diversamente ciò che i territori già fanno. Secondo Unioncamere-Symbola oltre 10mila imprese liguri sono orientate al green, quasi il 23% delle aziende con dipendenti, appena sotto il dato nazionale. I porti investono nelle rinnovabili e nell'alimentazione delle navi da terra, con Savona in anticipo su Genova e La Spezia. La nautica da diporto, tra La Spezia e il Tigullio, ha oggi nel risparmio energetico, accanto all'estetica e alla funzionalità dei prodotti, uno dei vantaggi competitivi. E così la cantieristica.

Intorno alle certificazioni, alla sicurezza di prodotti e processi, al risparmio energetico, cresce un terziario che ha nel gruppo multinazionale Rina (1.500 dipendenti, di cui il 60% laureati, in 42 paesi) e nel Centro ricerche della Fincantieri Cetena due snodi cruciali.

La Liguria ci crede. Il suo capoluogo è forse la città italiana che più ha investito nella riprogettazione smart delle città; l'associazione Genova Smart City raggruppa istituzioni, Università, centri ricerca, banche, aziende piccole e multinazionali o campioni nazionali (Ansaldo, Enel).

Per fare innovazione green, questa la lezione, occorrono pivot industriali credibili e gioco di squadra che coinvolga le eccellenze sedimentate dal fordismo e dall'industria pubblica.

Il mondo agricolo e agroalimentare appare effervescente. Il comparto del food, che non ha numeri comparabili a quelli delle regioni contermini (i colossi Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna), cresce anche in chiave export. Pochi però sono ad oggi i prodotti con marchi dop, igp, docg e poche, ma in crescita, le imprese "bio". Il turismo ha garantito a lungo una base economica alle riviere. La capacità di attrazione rimane alta, ma il prodotto Liguria perde terreno nei confronti di altre regioni. La riviera non basta più, se non si combina all'offerta enogastronomica, culturale, naturalista. Serve gioco di squadra e capacità di cooperare con chi sta intorno, dalle Langhe del basso Piemonte alla Provenza, dalla Costa Azzurra alla Toscana.

Basterà tutto ciò a dare nuovi basi a un territorio che nei vent'anni precedenti ha vissuto ai margini delle dinamiche competitive del Centro-Nord? La Liguria nei primi anni della grande crisi aveva contenuto i danni. I dati del 2012 sono nondimeno inquietanti (il tasso di disoccupazione del 2° trimestre è cresciuto di +3,6% rispetto al 2011).

Il rischio, per la Liguria, è che istituzioni ed élite perseguano logiche di rinserramento, mentre ciò che manca dall'epoca del triangolo industriale è una nuova prospettiva d'area vasta. Il progetto del nuovo Ge-Mi-To non è mai uscito dai convegni.

Come si ridisegna, dentro le sfide della green economy, lo spazio di posizione? Ambiente, turismo, logistica, agroalimentare, richiedono apertura allo scambio, alla cooperazione, all'attraversamento. E una geografia che non guardi solo alle altre metropoli, ma coltivi il disegno di una piattaforma delle qualità ambientali, turistiche, agro-alimentari, che da una parte tenga insieme Ponente, Costa Azzurra, Alpi Marittime, Langhe, dall'altra un'alleanza con Toscana nord-Occidentale e via Emilia, un triangolo delle qualità con ideali vertici a Lucca, Parma e La Spezia.

Forse, dentro questa piattaforma, anche Genova riacquisterebbe un ruolo non dipendente esclusivamente dalle vicende della portualità e del Terzo valico.

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