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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2012 alle ore 09:15.

La vigilia del Salone del gusto e Terra madre a Torino è occasione per ritornare nel "secondo" Piemonte, cresciuto oltre il perimetro fordista e celebrato oggi come esempio vincente di made in Italy. All'intuito di Carlin Petrini e dei fondatori di Slow Food va il merito di avere anticipato la "visione" di un altro capitalismo possibile. L'origine è nel Cuneese, Bra e Alba.
Nel Nord-Ovest, già terra di grande industria ad alta intensità di tecnologia, il territorio che oggi regge meglio la crisi in cui siamo immersi, è proprio Cuneo, tra le province italiane a più bassa disoccupazione e prima del Nord-Ovest per reddito pro capite. Nel secondo dopoguerra era una "terra dell'osso" del Nord. Era la malora descritta da Fenoglio. Oggi le Langhe sono un modello per molti territori, dalle Murge all'Irpinia alle cento periferie delle qualità alimentari che fanno il mosaico italiano. Un ruolo decisivo per il decollo è stato svolto dall'industria. Ferrero, Miroglio e Mondo, tra le altre, hanno dato un'alternativa all'emigrazione a Torino, modificando l'economia rurale senza sacrificare il territorio.
Gli originari elementi di arretratezza (morfologia, centralità della famiglia contadina) si sono rivelati, col tempo, punti di forza per i vitigni autoctoni, a partire dai pivot globali Barolo e Barbaresco. Poi arrivarono Slow Food, e forse non poteva che nascere qui, la politica dei presìdi, la creazione di un'Agenzia del territorio e dell'Università di Scienze gastronomiche, fiere come Cheese e del Tartufo, infine l'approdo al Lingotto con i saloni del gusto e Terra madre. Eventi e marchi che hanno "fatto egemonia" creando un lessico che è stato fatto proprio da legioni di consumatori e produttori in Italia e nel mondo. E fornito il retroterra a nuove iniziative imprenditoriali.
Non solo per contiguità territoriale cito i supermercati Eataly di Oscar Farinetti, nati a Torino e oggi presenti a Roma, Milano, in altre città italiane, a Tokyo, New York, e infine alla Fiera del Levante di Bari. Per tornare al Nord-Ovest, nel salutare il Salone del Gusto e Terra Madre, è utile porre in guardia dall'eccesso di enfasi. Il mercato del lavoro e la produzione di ricchezza non sono vasi comunicanti; il grande artigianato del gusto e del vino non colmeranno mai i vuoti dell'industria che arranca. Nella crisi emergono però nuove tracce di speranza. Forse è utile guardare allora alle pratiche emergenti; ai giovani e alle giovani, spesso con laurea, che stanno ripopolando le campagne e i colli più disagevoli con le loro imprese agricole e turistiche, o ai nuovi produttori vinicoli che insidiano le posizioni dei maestri. E che ci invitano a guardare con speranza al futuro.
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