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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2012 alle ore 23:06.

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Il progetto vuole essere "cantiere" di efficienza energetica diffusa.Il progetto vuole essere "cantiere" di efficienza energetica diffusa.

L'affare è lì, a portata di mano o quasi. Perché in tempi di crisi investire sul futuro può essere doppiamente conveniente. Specie se il bersaglio si chiama efficienza energetica. Capace di offrire una buona mediazione nello storico scontro tra le teorie dello sviluppo sussidiato e quelle del rigore ad oltranza nel controllo della spesa pubblica in tempo di vacche magre e casse del Tesoro asfittiche.

C'è un piano energetico nazionale all'orizzonte del Governo dei tecnici. E questo piano punta, almeno nelle enunciazioni, proprio su una consapevolezza: l'Italia è già mediamente efficiente rispetto ad altre economie industrializzate, ma molto può ancora fare, guadagnandoci non poco.

Estendere certificati bianchi anche all'edilizia residenziale, rendere permanente la detrazione fiscale per le ristrutturazioni, orientare la mobilità verso l'uso più razionale delle risorse dando spazio a quella elettrica. Enunciazioni da riempire di contenuti operativi. Gli studi si moltiplicano. Gli appelli anche. La nuova direttiva comunitaria sull'efficienza energetica – ricorda ad esempio la Fire, la federazione italiana per l'uso razionale dell'energia – introduce obblighi, ma anche poderose opportunità: il nostro Paese può ridurre consumi di circa 20 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio mobilitando investimenti tra i 50 e i 100 miliardi di euro, per risparmiare, però, sulla bolletta energetica nazionale ben 20 miliardi l'anno.

Potrebbe nascere così, con un ritorno dell'investimento stimato in un quinquennio, una filiera con importanti opportunità per le nostre imprese in termini di affari e occupazione, sostiene Confindustria in uno studio messo a punto con i sindacati confederali. Un mix calibrato di interventi per l'efficienza energetica sull'apparato industriale, sul residenziale e sulla mobilità vale, nelle stime di Confindustria, oltre un milione e mezzo di posti di lavoro in più per oltre mezzo punto di Pil aggiuntivo ogni anno. Senza esborsi netti da parte delle dissestate casse del Tesoro, considerando i ritorni in termini di benefici energetici globali per il Paese e di entrate fiscali prodotte dal maggior volume d'affari per 240 miliardi di euro, a cui si potrebbero aggiungere ben 5 miliardi di risparmi nelle quote di CO2 che l'Italia dovrebbe altrimenti acquistare per fronteggiare le maggiori emissioni che si possono così evitare.

Spazi significativi: le stime convergono su un possibile guadagno di efficienza complessiva del Paese attorno al 20%, con tutti i vantaggi che ne derivano. Non solo in termini di risparmio di risorse, ma anche di creazione di nuovi business e di modernizzazione della "macchina" Italia.

Un esempio eclatante: il patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione. L'Italia è disseminata di case colabrodo dal punto di vista energetico, con marcate differenze che danno bene la dimensione del problema. Una per tutte: l'efficienza energetica media di una casa della virtuosa Bolzano è superiore del 30% ad un'abitazione o un ufficio di Roma.

Ma perché non cominciare proprio dagli uffici della pubblica amministrazione? Tre anni fa uno studio diffuso dall'Enea simulava un intervento su 15mila tra scuole e uffici pubblici, pari al 35% del censito. Costo: 8,2 miliardi in cinque anni. Mettendo mano a pareti, infissi, caldaie, illuminazione. Risparmio energetico minimo: 20%, ovvero 420 milioni l'anno riducendo di quasi un quarto i costi energetici e tagliando altrettanto le emissioni di gas serra. Operazione che potrebbe creare, solo su questo versante, 150mila nuovi posti di lavoro. Fonte di finanziamento? Un ricorso ai normali strumenti creditizi, affiancato da un'emissione pubblica di specifici "bond efficienza".

Certo, il confronto con i 15 miliardi di euro di supporto pubblico cumulati a 2020 ipotizzati nella bozza di strategia energetica nazionale non lascia ben sperare. Ma le indicazioni dell'Enea sono comunque emblematiche dei vantaggi che si potrebbero legittimamente attendere.

Vantaggi ben scandagliati dall'ultima diagnosi sull'efficienza e sui margini di innovazione energetica del patrimonio pubblico emersa da un convegno promosso dall'Università di Roma La Sapienza con la collaborazione degli analisti e di operatori del calibro di Cofely, la società per i servizi energetici del gruppo Gdf Suez.

Enrico Colombo, amministratore delegato e direttore generale di Cofely Italia, punta l'indice sulle fonti di spreco più eclatanti e quindi sulle iniziative concrete che potrebbero essere adottate. Le scuole, ad esempio, soffrono di evidenti carenze nell'involucro edilizio "tecnicamente dispersivo". Negli uffici pubblici invece «gli impianti di climatizzazione presenti non sono correttamente utilizzati e gestiti». Lo stesso vale per le strutture sanitarie. Ecco che «un intervento di ottimizzazione unito a una efficiente gestione consentirebbe di risparmiare come minimo il 3-4% di energia primaria l'anno senza ricorrere ad ingenti investimenti». Investimenti che dovrebbero essere meglio incanalati sui settori capaci di restituire i maggiori benefici nei tempi più brevi «ovvero la climatizzazione e la produzione di energia». Prevedendo in ogni caso «un contratto di servizio energia, peraltro già previsto come obbligatorio per il settore pubblico sin dal 2008», rimarca Colombo.

La resa è comunque assicurata, visto che per il ritorno dell'investimento «possiamo prevedere da 10 a 15 anni per un intervento di coibentazione dell'involucro di un edificio esistente, da 5 a 7 anni per un intervento di realizzazione di un nuovo impianto di cogenerazione e di soli tre anni per un intervento di sostituzione di un generatore di calore particolarmente obsoleto». Parola di esperto. A cui converrà dare retta.

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