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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2012 alle ore 10:38.

Avrei preferito commentare il nostro ritorno in Puglia parlando della narrazione del territorio, parola chiave del Presidente Vendola. Partendo dalle eccellenze agroalimentari, dal Festival della Taranta, dal suo cinema, dal recupero del barocco di Lecce, dalla Fiera del Levante in cambiamento... Insomma, di quella creatività fatta di un mix tra memoria, manutenzione e capacità di immettere nei circuiti della cultura e dell'informazione una regione che in questi anni si è segnalata per la rottura di quello spazio di rappresentazione del Sud per cui, più narravi che le cose andavano male, più cercavi di ottenere dai flussi nazionali ed europei per le aree svantaggiate.

Poi è arrivata l'Ilva e il dramma di Taranto. Questione nazionale di peso sociale e industriale rilevante. Traumatica nel suo sollevare e fare emergere l'ossimoro tra lavoro e salute. Attualmente mediata con un mettersi in mezzo del ministro Clini con la direttiva Aia del ministero dell'Ambiente. Che arranca nella sua operatività, ma è l'unico pertugio per uscire dal dilemma del prigioniero che attanaglia l'intera città e il suo territorio limitrofo.

L'Ilva ha rotto la narrazione precedente. Anche se in questo nostro nuovo giro pugliese diamo conto dei successi del distretto aeronautico-aerospaziale (Alenia investirà 509 milioni entro il 2014 nello stabilimento di Monteiasi-Grottaglie), l'altra faccia industriale di Taranto, e dei successi dell'agroalimentare con il suo notevole balzo nel Pil regionale. Agricoltura e qualità dei prodotti che, in accordo con la Fiera di Bari, ha portato in Puglia Oscar Farinetti e l'eccellenza Eatitaly.

Tracce robuste di uno sviluppo dolce. Con un turismo in continua crescita; con una green economy che il rapporto di Symbola certifica in ascesa. Un'impresa su quattro, fra il 2008-2010 ha investito in prodotti e tecnologie verdi. Senza dimenticare la crescita nel terziario qualificato e il ruolo delle università pugliesi che fanno di Bari un polo terziario non solo per la regione ma per il Mezzogiorno.

Sull'asse Taranto-Napoli, passando per Melfi, abbiamo una piattaforma industriale fordista, acciaio-automotive-aerospaziale, che in termini di addetti, e non solo, supera di gran lunga la ex company town Torino. Dove non vale pensare che ciò che si perde con la deindustrializzazione lo si recuperi nelle Langhe di Slow food. Così non si può pensare che azzerando la storia industriale del Mezzogiorno recuperiamo automaticamente occupazione nel turismo e nella creatività. Industrializzazione frutto di interventi pubblici e privati invocati e sperati in quella narrazione che giustamente chiedeva lavoro, e chiede ancora lavoro.

Oggi di fronte al caso Fiat e al dramma Ilva è forse il caso, come sostiene Alessandro Laterza, vicepresidente di Confindustria per il Mezzogiorno, che partendo da questa piattaforma produttiva si ragioni sul ruolo dell'industria nel Mezzogiorno rendendola compatibile e necessaria con la narrazione della creatività. Un banco di prova di un sincretismo possibile sarà il progetto di rilancio di Taranto come smart area. Che prevede, dopo ovvi e tardivi "investimenti urgenti di bonifica ambientale e riqualificazione" di Taranto, con la mobilitazione di Cnr Enea e università, interventi per il porto, valorizzazione dei beni culturali e dei musei dell'area, del turismo con progetti per la green road delle colline ioniche che circondano Taranto, strategie di diversificazione produttiva che guardano al distretto della avionica di Grottaglie. Proviamoci. La sua riuscita potrebbe ridare speranza ad un'altra narrazione.

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