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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2012 alle ore 08:20.

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L'imperativo di fare massa critica attraverso alleanze e acquisizioni prende oggi il posto dell'inverso processo di "gemmazione", o spin-off, che vent'anni fa ha plasmato Pmi diventate leader di nicchia ai due estremi del globo. Come la Mc automations di Casalecchio di Reno (oggi al 51% di Acma-Coesia, vedi articolo a fianco), che dal suo piccolo controlla il 50% del mercato mondiale delle macchine per il confezionamento di cioccolatini: 30 dipendenti, 11 milioni di fatturato, tutta la produzione esternalizzata e che vende, dal Brasile all'Ucraina fino alla Nuova Zelanda, macchinari superspecializzati che incartano 800 cioccolatini al minuto (vent'anni fa ci si fermava a 300!). O la Imball di Sasso Marconi, imbattibile nelle scatole in fustellato, da quelle mignon per i mini-gelati Algida ai maxicartoni Ikea, tutto prodotto da terzisti e destinato al 90% ai mercati stranieri. O, ancora, la Tmc-Tissue machinary company di Matteo Gentili, figlio d'arte – la famiglia era nel settore con la Panigal, poi sono subentrati i tedeschi – che sul finire dello scorso Millennio ha messo insieme, partendo da Cadriano, un network di 200 dipendenti e 100 milioni di fatturato che imballa carta igienica, da cucina e tovaglioli accaparrandosi la metà del mercato mondiale. «La nostra vera ricchezza – rimarca Gentili, che ha esternalizzato tutte le fasi produttive – è la filiera di terzisti. Dobbiamo tutelarla perché è lì che si gioca la nostra gara competitiva con i tedeschi».

Non solo un grande distretto, dunque, ma un distretto «virtuoso che forse neppure i bolognesi conoscono nella sua eccellenza», sottolinea Daniele Vacchi, segretario generale di E.R.Amiat, la neo-nata associazione che mira a fare lobby in sede europea per dare voce alle istanze dell'automazione industriale emiliana (rappresenta 5 miliardi di fatturato e 16mila addetti, tra cui tutti i big dell'imballaggio). E se alla packaging valley bisogna proprio trovare un difetto, è «che negli ultimi 15 anni – conclude Vacchi – abbiamo avuto così tanto lavoro da sbrigare da non aver avuto il tempo di fare salti tecnologici, quell'innovazione di rottura che sbalordisce e spalanca nuovi mercati».
IL RATING DEL SOLE
Il punteggio

Attraverso una griglia di 12 variabili ciascun distretto è definito nei suoi punti di forza e di debolezza. Nella «packaging valley emiliana» spiccano internazionalizzazione, produttività e innovazione. Più in ombra costo del lavoro, attrattività e le dimensioni d'impresa.
PUNTI DI FORZA
1
INTERNAZIONALIZZAZIONE

A determinare le brillanti performance del distretto del packaging bolognese è innanzitutto la vocazione ai mercati globali: la quota export raggiunge in media il 95% del fatturato e le big company hanno controllate e filiali in tutti i principali mercati di riferimento, pur mantendendo cuore produttivo e R&S in Emilia
ALTA
-2
PRODUTTIVITÀ

L'eccellenza tecnologica del distretto è frutto della perfetta organizzazione del lavoro in filiera, con una rete di sbufornitura industriale specializzata e perfettamente integrata con i marchi. Un assetto distrettuale che ancora oggi permette un ottimo controllo dei costi e macchine customizzate
BUONA
-3
INNOVAZIONE

Se ancora oggi la Cina non fa paura al distretto bolognese è perché la costante innovazione incrementale rende difficilissimo copiare le macchine per l'imballaggio made in Emilia. Meno vivace, invece, l'innovazione radicale, anche per il timore che faccia concorrenza "in casa" a prodotti propri già affermati sul mercato
DISCRETA
-
IL GIUDIZIO
-
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
COSTO DEL LAVORO

Se prima del debutto dell'euro si potevano compensare sovracosti e gap di prezzo finale (a parità di prodotto e qualità) rispetto ai concorrenti tedeschi grazie alla svalutazione della lira, oggi questo differenziale pesa sui margini delle aziende e quindi sulle capacità di investimento
INSUFFICIENTE
-
BASSA
-
2
ATTRATTIVITÀ

Il primato bolognese di cluster mondiale delle macchine automatiche è messo in pericolo dalla scarsa capacità del territorio di reagire e adeguarsi alle istanze del mondo produttivo: negli ultimi vent'anni gli investimenti infrastrutturali si sono fermati e i mancati investimenti iniziano a pesare sulla competitività delle imprese locali
SCARSA
-3
DIMENSIONI D'IMPRESA

A parte la manciata di colossi che si contendono i mercati globali, le aziende
del distretto sono di piccola taglia: su 307 artigiani nella filiera bolognese del packaging, 250 hanno meno di 20 addetti. Una fragilità insita nella storia del distretto: oggi non pesa solo perché la fase espansiva di mercato garantisce lavoro a tutti

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