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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 07:33.

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Già nell'Ottocento grazie ai capitali di facoltose famiglie svizzere, l'industria tessile aveva costruito solide basi nella regione grazie all'abbondanza di energia idroelettrica, ma era costretta ad acquistare i macchinari dall'industria inglese, l'unica allora in grado di produrli. Lo sviluppo della manifattura tessile in Italia crea le condizioni perché si sviluppi anche la filiera a monte.

La concorrenza asiatica
Dove c'è la domanda di macchine, dunque, nascono le fabbriche. Proprio quello che - ormai da alcuni anni - sta accadendo in Asia e in Cina in particolare, dove ormai è concentrata buona parte della produzione tessile mondiale. «Una volta bastava andare dietro l'angolo, a Palazzolo o a Castel Goffredo, per vendere le macchine alle aziende tessili - osserva Zanca - oggi bisogna percorrere migliaia e migliaia di chilometri». E non basta: perché quando si arriva si trovano concorrenti agguerriti.
È un meccanismo che sta mettendo in crisi tante realtà produttive, e non solo nel bresciano. Resistono le imprese che hanno acquisito grandi dimensioni, come il gruppo Lonati, leader indiscusso del distretto, o quelle che hanno affiancato alle produzioni tradizionali (che devono via via confrontarsi con prodotti cinesi o coreani) attività diverse. È questo il caso proprio della Mesdam che ottiene il 20% del fatturato da una linea (Mesdan Lab) di strumenti per eseguire test di controllo sia in laboratorio che in reparto su vari prodotti tessili. Si tratta di strumenti che monitorano in modo automatico la qualità e le proprietà fisiche della fibra e dei filati. Tra i clienti c'è Decathlon, ma anche aziende dell'automotive che hanno bisogno di verificare il grado di resistenza dei tessuti all'attrito, alla torsione o allo strappo.

Questo aiuta. Ma non basta a fronteggiare le fortissime oscillazioni della domanda globale che negli ultimi anni ha raggiunto livelli paradossali. «Nel 2011 abbiamo lavorato solo sei mesi - racconta Gianfranco Colosio, presidente dell'azienda di famiglia che produce macchine per calze e fornisce cilindri per aghi alla Mesdan - ma abbiamo fatturato 4 milioni e mezzo, il doppio dell'intero 2010. Poi si è fermato tutto, all'improvviso. Quest'anno chiuderemo sui 3 milioni di euro. Ci sono periodi in cui dovresti aumentare la capacità produttiva del 30% e altri, come buona parte del 2012, in cui dovresti ridurla del 70 per cento». Anche alla Mesdan sentono la volatilità del mercato: «In un mercato normalizzato saremmo intorno ai 25-30 milioni di vendite. Nel 2010 però ci siamo fermati a 16 milioni per poi balzare a 39 l'anno successivo».
Ma licenziare è un'opzione scartata in partenza: il personale è altamente qualificato, mandare a casa qualcuno vorrebbe dire privare le aziende di professionalità che sarebbe difficilissimo ritrovare quando la domanda si riprenderà. I tempi sono durissimi, ma c'è anche la convizione che prima o poi la crisi passerà. Anche perché da qualche ora sul volto di Gianfranco e della sorella Fabiana è tornato il sorriso: «Abbiamo appena acquisito un ordine importante che ci consente di riprendere la produzione a pieno ritmo - spiega Fabiana Colosio - almeno fino a maggio-giugno dell'anno prossimo. Entro Natale si riparte».

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