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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2012 alle ore 09:02.

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Del resto, la produzione di piante negli ultimi anni è aumentata, a fronte di un giro d'affari rimasto sostanzialmente stabile sui 500 milioni di euro (ma c'è anche chi stima 600 milioni, vista la difficoltà nel misurare i ricavi agricoli), indice di una riduzione dei margini che provoca qualche sofferenza tra le 1.250 aziende vivaistiche del distretto; aziende in gran parte di taglia micro, impegnate a coltivare circa 5mila ettari con 2.300 dipendenti, cui si aggiungono titolari, stagionali e indotto per un totale che sfiora i 12mila addetti. I problemi maggiori, spiega Ferretti, in realtà riguardano le 150-200 aziende "medie", a metà strada tra quelle a dimensione familiare (in grado di contenere i costi fissi) e quelle strutturate, che vendono direttamente sui mercati internazionali e sono capaci di realizzare grandi progetti, in tutto meno di una cinquantina.

Eppure è proprio questo piccolo gruppo di "vivaisti con la valigia", che da tempo gira il mondo in cerca di nuovi clienti a cui proporre piante ma anche servizi, a trainare una filiera produttiva frammentata e poliedrica. Andrea Zelari, titolare del gruppo Zelari che opera dal 1953 (150 ettari coltivati e 1,4 milioni di piante esportate in 16 Paesi) e presidente dell'Associazione vivaisti pistoiesi, risponde al telefono dall'Ucraina: «Le ex repubbliche sovietiche – dice – sono oggi uno dei mercati a cui guardiamo con maggior interesse. Per adesso in questi Paesi il nostro gruppo esporta soltanto piante e non progetti di verde "chiavi in mano" che invece vengono realizzati sul mercato italiano».

Ma c'è anche chi ha già sperimentato l'export di know how verde: «Il made in Italy è molto apprezzato all'estero, anche per la cultura e la storia legata ai nostri giardini», spiega al telefono dalla Svizzera, dove si trova per lavoro, Francesco Mati, quarta generazione dell'omonimo gruppo fondato dal bisnonno nel 1909, 80 ettari di vivai e due società attive nella costruzione di giardini e nella consulenza tecnica, per un totale di 40 dipendenti e cinque milioni di fatturato, per il 50% realizzato all'estero. «La nostra filosofia non è tanto quella dei grandi numeri – aggiunge Mati, che la scorsa estate ha gestito la realizzazione di giardini in Costa Azzurra – ma di prestare servizi ad alto valore aggiunto e diffondere la cultura del verde anche in Italia: ora che la sensibilità verso l'ambiente sta crescendo, le potenzialità aumentano».

In un mondo in rapido cambiamento, anche i mercati di sbocco dei vivaisti pistoiesi stanno modificandosi. «Fino al 2007-2008 l'export tirava in gran parte dei Paesi europei, dalla Spagna all'Inghilterra passando per la Germania e la Francia – spiega Ferretti –. Poi la crisi ha rimescolato le carte: la Spagna si è quasi azzerata, l'Inghilterra ha ridotto drasticamente gli acquisti, Francia e Germania hanno tenuto bene, così come Svizzera, Austria, Olanda e Belgio. Le potenzialità di crescita ora sono in Europa dell'Est, in Medio Oriente, in Maghreb e in Turchia, dove però spesso i vivaisti incontrano ostacoli di vario genere».

Emblematico è il caso della Turchia, paese in cui sta crescendo la produzione vivaistica locale e che per questo sta innalzando barriere non tariffarie (soprattutto sul fronte fitosanitario) a protezione del mercato interno. «Un camion su tre proveniente dall'Italia viene bloccato», sibilano dal distretto di Pistoia. Una delegazione di produttori, accompagnata dalla Regione Toscana, è già stata in Turchia lo scorso aprile per affrontare il problema col Governo locale, ma è tornata a mani vuote; ora si attende a Pistoia (entro l'anno) una delegazione turca formata da produttori di piante e rappresentanti governativi per fare passi avanti. E problemi simili di barriere non tariffarie stanno emergendo anche in Cina, mercato in cui le aziende pistoiesi stanno provando a entrare nonostante gli alti costi di trasporto del prodotto.

Per aumentare la competitività del distretto, qualche problema resta da risolvere anche a livello locale: «Abbiamo bisogno di produrre di più e di produrre meglio – afferma Vannucci, preoccupato per l'aumento del prezzo del gasolio che sta facendo chiudere alcune aziende di trasporto – e dobbiamo lavorare sulla formazione affinché i giovani restino nei vivai: c'è bisogno non solo di chi lavora manualmente, ma di venditori che parlino almeno tre lingue e di paesaggisti che progettino. Per fortuna, operando in un settore che tocca l'ambiente e la salute, vediamo un futuro roseo».

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