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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2012 alle ore 08:21.

Le fiere «da sole, non aprono nuovi mercati, ma sono propellente indispensabile dove un mercato già è nato e deve crescere e spesso sono l'unica chiave di volta per fare incontrare bisogni, di massa o di nicchia, con chi è in grado di soddisfarli ma vive dall'altra parte del pianeta». È forse proprio per questo motivo che, secondo Paul Woodward, managing director di Ufi (l'associazione mondiale che riunisce enti fieristici e organizzatori di esposizioni) – nonostante la crisi economica internazionale – le fiere intese come hub espositivi di caratura internazionale si mantengono «sostanzialmente stabili, anzi crescono nei mercati emergenti. Semplicemente si riposizionano».
Secondo i dati Ufi, nel 2011 sono stati circa 30.700 gli eventi fieristici che si sono svolti nel mondo ed hanno occupato complessivamente uno spazio espositivo di 103 milioni di metri quadrati. Le aziende espositrici sono state oltre 2,8 milioni e hanno attratto oltre 260 milioni di visitatori.Se l'Europa, con i suoi oltre 15 milioni di metri quadrati di spazi espositivi (quasi la metà di tutta la superficie mondiale), continua ad ampliarli (+1,1% dal 2006 al 2011) ma ne occupa il 5% in meno, l'Asia, con i suoi 6,6 milioni di metri quadrati in galoppante espansione ha aumentato del 2% i padiglioni affittati ad eventi. Insomma, il business delle fiere cresce. Ma a Oriente. Tuttavia la formula di "riprodurre" a Shangai o New Delhi saloni di successo in Europa può funzionare «ma a patto – sottolinea ancora Woodward – di avere abbastanza capacità e coraggio di adattarsi al Paese, al mercato e alle necessità di business e culturali dei buyers locali. Non basta che un evento abbia successo in Europa o Usa per riprodurlo. Rafforzare all'estero il brand di una fiera può anche voler dire stravolgere l'originale».
Secondo Woodward, infatti, le fiere continuano ad essere il "mezzo di trasporto" più adatto alle piccole e medie imprese per «girare il mondo». Se multinazionali o grandi società sono presenti più spesso per motivi di immagine, per le Pmi sono lo snodo essenziale per il primo contatto ed è importante, ha proseguito li managind director di Ufi, che «finanziamenti pubblici o privati e i supporti delle associazioni di categoria continuino a sostenere questa modalità di internazionalizzazione».
«Per questo – ha spiegato ancora Woodward – è essenziale che il lavoro propedeutico di matchmaking – cioè di incontro tra esigenze di domanda e potenzialità dell'offerta, soprattutto a livello internazionale – sia estremamente scrupoloso e favorisca i B2B così da decretare il successo di una fiera. Anche perchè le imprese cinesi e indiane, ad esempio, hanno un approccio di business estremamente pragmatico e professionale e stiamo notando che spesso è più difficile organizzare un corretto matchmaking tra due aziende cinesi, una di Shangai e l'altra della Cina centrale piuttosto che tra una cinese costiera e una europea».
Ma alle fiere tradizionali si affianca anche la tecnologia. Un'app per smartphone che fa interagire visitatori ed espositori, eventi di presentazione di prodotti in Cina accessibili in streaming senza spostarsi dalla scrivania a Milano. La nuova frontiera del marketing promotion esce dagli spazi fisici dei padiglioni e, salendo sul treno delle tecnologie digitali, registra una crescita a due zeri. Sono le fiere "digitali" e gli eventi business to business che, inizialmente legati a iniziative "fuori salone" per volontà di operatori forti che volevano "distinguersi", stanno diventando sempre più occasioni di incontro che rischiano, secondo alcuni esperti, di sostituirsi alle fiere tradizionali.
«Negli ultimi 7 anni – ha spiegato Mark Cochrane, responsabile Asia di Ufi – gli eventi digitali sono aumentati del 30%, soprattutto grazie a richieste specifiche di Cina e Usa». Da semplici vetrine di prodotti le fiere di successo, che siano legate al cibo, alle nuove tecnologie o al made in Italy, sono anche quelle che hanno la capacità di emozionare i potenziali compratori. «Un catalogo si scarica online – ha concluso Woodward –. Un'emozione non arriva in videoconferenza».
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