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Questo articolo è stato pubblicato il 14 novembre 2012 alle ore 08:19.

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Mentre la domanda mondiale rallenta, l'export italiano cresce, anche se diminuisce la sua corsa: +4,6% nei primi otto mesi del 2012 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, quando la nostra crescita viaggiava a due cifre (+14,2%). Un fenomeno che tocca la stessa Germania, alle prese con un brusco rallentamento delle proprie esportazioni. L'austerità fa stringere la cinghia a tutti i principali clienti del made in Germany, noi italiani compresi, che pure siamo sempre stati particolarmente affezionati alla qualità tedesca. Una prova evidente di questa brusca inversione di tendenza è la caduta del 25% in valore (pari a 1,6 miliardi di euro in meno!) dell'import italiano di autoveicoli dalla Germania nel gennaio-agosto del 2012 rispetto ai primi otto mesi dello scorso anno.

Insomma, i tedeschi hanno voluto imporre ai Paesi mediterranei l'austerità, ma ora questa si ritorce anche su di loro: chi di rigore ferisce... Intanto, complice anche il calo dell'import, cresce il nostro surplus manifatturiero con l'estero, avviato quest'anno verso un formidabile massimo storico. Nel periodo gennaio-agosto 2012, infatti, l'avanzo commerciale per i prodotti manufatti dell'Italia ha raggiunto i 61 miliardi di euro. Il precedente record fu stabilito nel gennaio-agosto 2008, prima dello scoppio della crisi mondiale, quando l'avanzo fu di 45 miliardi: siamo dunque oggi 16 miliardi oltre il vecchio primato, alla faccia di chi dava il made in Italy per morto. A loro volta i dati Eurostat relativi al periodo gennaio-luglio 2012 confermano la posizione preminente dell'Italia nel commercio estero dei paesi Ue: abbiamo avuto il secondo miglior saldo attivo con l'estero dopo la Germania per i beni capitali, con 20,5 miliardi di euro, e ci confermiamo primi assoluti nell'Ue per attivo nei beni di consumo (esclusi gli autoveicoli), con 20,6 miliardi.

Queste cifre dimostrano che l'export è oggi l'unica cosa che funziona nella nostra economia, stretta nella morsa rigore-recessione che sta stroncando sia i consumi delle famiglie, sia gli investimenti privati, sia la stessa spesa pubblica, soprattutto quella "buona", cioè gli investimenti in infrastrutture, ormai ridotti al lumicino. Chi esporta ed è capace di farlo è un privilegiato.

Le imprese più internazionalizzate cercano di cogliere la domanda in crescita dei paesi emergenti per controbilanciare la debole domanda dei mercati ricchi (e di quella domestica). In più, gli stranieri pagano in tempi rapidi, mentre in Italia per essere pagati occorrono mesi se non semestri (nel caso dei crediti verso lo Stato ciò è un dato sicuro). L'Istat ha recentemente diffuso i risultati di un'indagine sulle imprese esportatrici italiane: nel primo semestre 2012 una impresa manifatturiera esportatrice su due (il 49,8%) ha incrementato le vendite dei propri prodotti all'estero rispetto allo stesso periodo del 2011. La presenza di imprese in espansione, secondo l'Istat, è stata maggiore (53,2%) tra quelle che esportano nei paesi extra-Ue e minore (44,8%) tra quelle orientate ai mercati Ue. Inoltre, la dinamica delle esportazioni in valore per le imprese incluse nel panel dell'indagine è nettamente diversa tra i mercati Ue, che soffrono (-1,1%), e i mercati extra-Ue (+5,2%). È poi da considerare che la frequenza delle imprese in crescita è stata pari al 48,7% per le microimprese (1-9 addetti), al 49,9% per le piccole imprese (10-49 addetti), al 51,4% per le medie (50-249 addetti) e al 48,9% per le grandi. Il successo sorride dunque soprattutto alle medie imprese e a chi è capace di puntare sui mercati extra-europei più dinamici.

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