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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2012 alle ore 07:15.

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In un contesto non facile, il private banking italiano si avvia a chiudere il 2012 con risultati discreti. Secondo le stime dell'associazione di categoria (Aipb), il mercato (che considera soggetti con ricchezze finanziarie dai 500mila euro in su) a fine giugno aveva una consistenza di 419 miliardi di euro. Questo a fronte di una ricchezza potenziale prevista, per fine 2012, di 898 miliardi (+2,3% rispetto al 2011). Una somma che, nonostante la crisi, supera i livelli del 2010. La crescita, però, è guidata quasi esclusivamente dalle performance di mercato (+2,5% i listini, secondo le stime): per fine 2012, infatti, non ci si attende la creazione di nuova ricchezza.

Tuttavia, questa è un'industria dove solo rispetto a qualche anno fa la relazione cliente-gestore è cambiata. I primi sono più esigenti e sofisticati in termini di informazioni e di servizi. I secondi faticano a muoversi all'interno di vecchi modelli: la gestione della delega è più complessa, anche perché è ancora limitata la propensione della clientela private a pianificare le proprie risorse e quindi a delineare bene quelli che sono gli obiettivi di mantenimento, speculazione e accrescimento delle proprie ricchezze. E per molti private banker sono ancora insufficienti gli strumenti a disposizione per riuscire ad associare fabbisogni di investimento e prodotti finanziari.

Questi elementi, sommati ad altri interni ed esterni al mercato, spingono a confrontarsi con nuovi modelli di redditività. «Chiudiamo un anno positivo, non solo in termini di performance, ma soprattutto perché la clientela ha dimostrato grande razionalità nelle scelte fatte assieme ai propri consulenti» spiega Dario Prunotto, responsabile di UniCredit P.B.. «Anche per questa ragione i nostri investimenti per il 2013 (oltre 300mila euro) saranno focalizzati a valorizzare le professionalità dei nostri banker per migliorare ulteriormente la relazione con il cliente».

La società, che registra nei primi nove mesi flussi netti per 750 milioni (masse totali per 85,4 miliardi) e margini operativi netti per 174 milioni (+42,2% rispetto al 2011), investirà in un massiccio piano di formazione e certificazione dei banker, che saranno tutti dotati di tablet. «Valorizzeremo le interviste ai fini Mifid – aggiunge Prunotto – che devono diventare un momento di verifica delle aspettative e delle esigenze dei nostri clienti e non un atto puramente amministrativo». Banca Euromobiliare, invece, ha disegnato una roadmap di implementazioni evolutive per arricchire ulteriormente il servizio di consulenza finanziaria a pagamento, che conta oggi 11mila contratti e che raggiunto una copertura delle masse consulentabili pari all'85% e una penetrazione della raccolta gestita pari al 64% per cento. «Siamo pronti per la fase due con upgrade di valore del servizio offerto», spiega l'ad Ferdinando Rebecchi.

Nel 2013 saranno rilasciati nuovi report per la clientela, finalizzati alla semplificazione e una maggiore fruibilità; saranno introdotte una nuova segmentazione del servizio, finalizzata a ulteriore personalizzazione e nuove logiche per la valutazione della rischiosità di portafoglio (Var), in una logica sempre più di portafoglio e meno di prodotto e poi sarà introdotto un nuovo modello di adeguatezza, sempre finalizzato a personalizzare il servizio. «Dal 2009 Banca Euromobiliare, pioniera nel lancio del servizio di consulenza finanziaria a pagamento – conclude Rebecchi – ha continuato ad investire e grazie alle sinergie con il Gruppo Credem, sono stati destinati complessivamente 5,5 milioni di euro per investimenti in tecnologia, processi e procedure dedicati a un progetto core».Anche per Guido Giubergia, presidente e ad del gruppo Ersel (7,3 miliardi di asset e 45 private banking con sedi a Torino, Milano, Bologna, Lussemburgo e Londra), in un mercato ormai saturo, destinato a una clientela con esigenze molto eterogenee (da chi ha 500mila a chi ha oltre 10 milioni di ricchezze finanziarie) e in cui il saldo netto nuovo anno dopo anno è modesto «i servizi dal finanziario puro devono evolversi a quelli del wealth management».

Si tratta di quelli legati alla creazione di trust, alle società fiduciarie, alla gestione di tematiche successorie ai quali la storica boutique di asset management indipendente già presente nelle diverse asset class (dai fondi comuni agli hedge al private equity) si è aperta da tempo.«Nel 2013 lavoreremo in tre direzioni – aggiunge Giubergia –: garantire con la formazione e un'alta qualità delle nostre risorse umane, sia sul fronte private banker sia sul fronte gestori; abbiamo in programma investimenti nella componente informatica che migliora l'attività di consulenza e l'efficienza dei processi anche nelle fasi di definizione della strategia di investimento e di operation & esecution; infine l'innovazione di prodotto in cui abbiamo una lunga tradizione visto che siamo stati i primi a lanciare il primo fondo hedge in Italia».

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