Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 19 dicembre 2012 alle ore 15:56.

My24

Il ritorno in Veneto ci consegna l'immagine di un Nord-Est che, faticosamente, elabora il lutto per la perdita della sua diversità. Lo spartiacque del 2008 ha accelerato l'ormai decennale allineamento rispetto al resto del capitalismo italiano. Non credo che ciò significhi la fine dell'orgogliosa comunità produttiva nordestina, piuttosto l'inizio della sua rigenerazione.

I dati dicono che il Veneto può ricominciare a pensare il suo futuro, ma per farlo serve la consapevolezza che i suoi problemi e le sue risorse sono comuni alle altre piattaforme produttive che costituiscono la città-regione del capitalismo manifatturiero, dall'asse Torino-Milano alla pedemontana lombarda fino alla Via Emilia, verso Nord il Brennero con la porta veronese e il corridoio Adriatico-Baltico da Trieste. Assumendo uno spazio di posizione di area vasta radicato in Europa e connesso a piattaforme metropolitane forti come Milano, Monaco, Francoforte.

È lì che le medie imprese venete e le loro filiere possono trovare i trampolini di lancio per accedere a quei mercati globali in grado di dare ossigeno e spinta ad investire. Un riposizionamento che, però, va pensato e guidato e non può limitarsi all'adattamento spontaneo delle punte alte del sistema già internazionalizzate come è avvenuto fino ad oggi, ma deve avere la forza di trascinare con sé una modernizzazione complessiva della società oltre che dell'impresa. Senza la quale anche l'accompagnamento all'export da solo non riuscirà a invertire il declino dei fondamentali del sistema, imprenditorialità e lavoro. Eppure, se gli indicatori statistici vanno giù, nel brulichio operoso del territorio non ci sono solo motori che si spengono, ma altrettanti che partono tra start-up e casi di eccellenza. Che cosa manca? L'idea di Nordest coniata da Giorgio Lago era culturale e politica prima che economica. Oggi manca una rappresentazione collettiva altrettanto forte che coscientizzi al salto di fase e dia voce a quei soggetti che più ne sono interpreti e potrebbero guidare il cambiamento. In Veneto soggetti e luoghi della rappresentazione sono cresciuti, dalle fondazioni ai festival ai giornali. Ma il tempo della crisi è veloce.

Oggi serve che questa nebulosa della conoscenza sia anche capace di fare massa critica ed egemonia, si faccia classe dirigente. Cosa che ancora non è. Serve che faccia politica e che risolva la sua atavica riluttanza per la sfera pubblica. Serve che i giovani delle start-up, i ceti terziari in crescita, una parte del ceto imprenditoriale, promuovano la rivoluzione della contemporaneità nella società, nella cultura e nell'impresa venete e nordestine. Una rivoluzione che può essere il vero fattore attrattivo di investimenti e talenti esteri. Serve che il tema del ricambio generazionale anche nell'impresa consolidata venga trasformato in politica pubblica. È la cultura delle persone e l'organizzazione della loro cooperazione il vero tessuto strappato da ricostruire. Sapendo che forse gli innovatori dovranno assumersi la responsabilità della rottura di equilibri da troppo tempo consolidati.

In questo lavorio la candidatura di Venezia e Nord-Est a capitale europea della cultura può fare da catalizzatore della metamorfosi. Perché spinge a ragionare su un obiettivo lungo al 2019; perchè costringe a pensare le differenze, mettendo assieme i campanili. Perché scava nella profondità delle radici culturali, favorendo la verifica della solidità delle imprese. Perché spinge a ragionare sulla capacità della cultura del territorio di muoversi in questa direzione. Perché è forse l'unico modo di mettersi in mezzo tra le due polarità dell'innovazione e delle start-up e dei suicidi di chi non ce la fa. Forse una buona serra per non far morire i germogli di speranza nell'inverno della crisi.
bonomi@aaster.it

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi

301 Moved Permanently

Moved Permanently

The document has moved here.