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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 06:44.

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Mette in guardia da un rapporto troppo esclusivo con le griffe, Ugo Cilento, stilista napoletano che distribuisce un total look di grande qualità in Italia e all'estero. «I grandi marchi della moda sono ondivaghi – dice Cilento – sono attenti al costo unitario della calzatura e, quando questo aumenta, cambiano fornitori. Così le imprese produttrici si ritrovano con costi fissi alti da sostenere e commesse azzerate. Meglio puntare su una rete di vendita propria e continuare a privilegiare la qualità». Cilento ha un campionario di 80 modelli di calzature prodotte da una piccola azienda satellite con 40 dipendenti. «Qui si producono le migliori scarpe – conclude – quelle che fanno concorrenza a marchi internazionali del calibro di Edward Green e John Lobb».
Insomma, è chiaro che il calzaturiero campano, rispetto agli anni novanta ha cambiato pelle: grazie all'innesto della tecnologia sulla tradizione manuale per la realizzazione di modelli, cui si aggiunge l'ampliamento della gamma dal classico uomo allo sportivo uomo e alla donna, più accessori e capi d'abbigliamento speciali e d'altissima gamma che assecondano le richieste di un cliente disposto a spendere.

Ma restano ancora molti nodi da sciogliere. I sindacati temono che sia ancora diffuso il lavoro nero, sebbene molto ridimensionato con la scomparsa delle realtà di Grumo, quelle più piccole. E non solo. «Una dimensione aziendale piccola – dice Giancarlo Senese, consulente di numerose imprese del comparto e oggi promotore della rete d'impresa – sottocapitalizzate, con strutture organizzative semplici e legate al carattere di impresa familiare. Insomma, un polo produttivo parcellizzato e in cui prevale un forte individualismo. Dall'analisi di questi punti di debolezza – aggiunge Senese – è nato il progetto di costituire la rete "Campania shoes", presentato alla regione Campania. Il contratto di rete sarà firmato entro il mese». «Una strada obbligata – asserisce Carlo Palmieri, presidente della sezione moda dell'Inoopne industriali di Napoli – per assicurarsi un futuro e spazio sui mercati globalizzati. Ci attendiamo attenzione da parte della regione e del mondo del credito».
Attenzione della regione a un settore che colloca la Campania tra le prime sette regioni italiane è rivendicato da tutti gli operatori. Tanto che si spera che l'ente guidato da Caldoro possa destinare agli investimenti nuovi finanziamenti comunitari.

Anche se nella storia del calzaturiero campano resta incombente la vicenda Impreco: che non trova soluzione e porta dietro di sè strascichi incresciosi. Nasce, ancor prima del 2000, la società consortile, a cui aderiscono 51 piccole imprese localizzate a nord di Napoli, con il programma di costruire nuove fabbriche in due aree industriali limitrofe che ricadono nei comuni di Carinaro e Gricignano d'Aversa. Iniziativa che trova il sostegno regionale e che si concretizza in un contratto di programma, firmato alla fine del 2001: 350 miliardi di investimento previsti di cui 200 a carico dello Stato e della regione e oltre mille nuovi posti di lavoro. In realtà, l'operazione è l'occasione per creare un vero distretto industriale e per favorire l'emersione di società e lavoratori, in un comparto ancora molto "nascosto". Ma ad oggi poco è stato fatto: a Carinaro gli investimenti vengono completati nel 2004 e solo una quindicina di imprese sono attive, con al massimo 400 occupati.Mentre a Gricignano, solo a pochi metri, e a dodici anni di distanza dall'avvio del programma,si è prodotto solo un gran groviglio di atti amministrativi illeciti, lavori realizzati illegalmente, inchieste della magistratura con fondati sospetti di infiltrazioni camorristiche.

Il consorzio Asi intima a marzo 2001 al comune di Gricignano di esprorpiare i terreni. Quest'ultimo però resta fermo. Allora, il presidente della regione autorizza il consorzio Asi di Caserta a occupare in via temporanea e urgente per cinque anni le aree interessate dal contratto di programma. Intanto, in seguito a sentenza della Corte Costituzionale sui piani regolatori delle aree Asi, viene annullato il decreto di esproprio. Si tenta una transazione con i proprietari "espropriati" che non porta a nulla. Intanto qualcuno ha avviato i lavori su aree indisponibili, commettendo illegittima occupazione di suolo privato. Indaga la Magistratura, indaga la Corte dei conti. Gli investimenti restano fermi e ora rischia di saltare anche il finanziamento. L'ultimo atto data 25 settembre: un decreto del presidente della regione Campania dispone l'avvio di una "acquisizione sanante" delle aree illegittimamente occupate. Sarà la fine della decennale vertenza?

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