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Questo articolo è stato pubblicato il 05 marzo 2013 alle ore 19:05.

Per anni è stato sostenuto che le nostre imprese non erano competitive sui mercati internazionali ed ora invece sembra che tutte le nostre speranze di crescita, data l'implosione della domanda interna, siano affidate all'export. In effetti, il 2011 ed almeno tutta la prima parte del 2012 hanno rappresentato un periodo molto positivo per le esportazioni italiane, tale da suscitare un certo entusiasmo. Le nostre vendite all'estero hanno chiuso il 2012 a quota 390 miliardi di euro, oltre 20 miliardi in più del massimo pre-crisi del 2008. Complice anche il calo dell'import dovuto al crollo dei consumi e degli investimenti domestici, il saldo commerciale con l'estero è finalmente tornato positivo, pari a 11 miliardi di euro, e quello relativo ai soli prodotti manufatti ha stracciato ogni precedente record storico toccando quota 94 miliardi: una cifra che ci pone quinti al mondo dietro a Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud, con tutti gli altri Paesi del G-20 in rosso.

Dunque, nonostante un sistema Paese che ostacola più che favorire la competitività, le nostre imprese hanno realizzato l'impossibile sui mercati mondiali, smentendo tutti coloro che per anni hanno dato in declino la manifattura italiana attribuendo alla sua presunta scarsa competitività una delle cause principali della bassa crescita del nostro Pil. Mentre è ormai evidente che se la produzione industriale è sotto del 20% ai livelli pre-crisi ciò non dipende da una difficoltà ad esportare ma dal fatto che gli italiani hanno smesso di comprare, costringendo le imprese che operano sul mercato interno a tagliare drasticamente i livelli produttivi. In sostanza, abbiamo un problema strutturale grosso come una montagna di domanda domestica, non di competitività esterna. Con una evidente dicotomia tra l'andamento delle imprese che esportano (che vanno bene e che sono puntualmente pagate in tempi rapidi dai loro clienti internazionali) e le imprese che sono più orientate al mercato italiano (che soffrono e per di più sono pagate con grande ritardo dai loro clienti, sia dallo Stato sia dallo stesso settore privato).

Unctad e Wto hanno da pochi giorni messo in rete i dati del loro Trade Performance Index 2011, basato su 14 macrosettori del commercio internazionale, che ha sostanzialmente confermato i risultati del 2010. Anche nel 2011 la Germania è risultata il paese più competitivo al mondo, prima nel commercio estero in ben 8 settori e seconda anche in un altro settore. Ma l'Italia viene subito dopo i tedeschi. Infatti, nel 2011 il nostro Paese si è confermato primo per competitività nei suoi tre campi tradizionali (tessile, abbigliamento, pelli-calzature), dove, anche se pressata dalle economie emergenti, conserva la leadership nell'alto di gamma ed è ben posizionata per diversificazione di prodotti e mercati. L'Italia ha inoltre occupato tre secondi posti immediatamente dopo la Germania in importanti macrosettori come la meccanica non elettronica (macchinari industriali, apparecchi di vario tipo come pompe, valvole, rubinetti, ingranaggi, ecc.), i manufatti di base (ceramiche, metalli, ecc.) e i manufatti vari (tra cui occhiali, articoli in gomma e plastica, ecc.). In più, si è piazzata al sesto posto nei prodotti alimentari trasformati. Nel complesso, in questi sette macrosettori in cui il made in Italy si trova ai vertici del commercio mondiale per competitività, l'Italia ha esportato nel 2011 beni per 309 miliardi di dollari facendo registrare un attivo con l'estero di 116 miliardi. Cifre che verranno tutte ritoccate ulteriormente al rialzo quando l'anno prossimo si renderanno disponibili i dati comparati Unctad-Wto del 2012.

Se tutto ciò in qualche modo deve inorgoglirci, non dobbiamo però aspettarci altri miracoli dal nostro export nel 2013, per varie ragioni. Innanzitutto, perché l'economia dell'Eurozona si è letteralmente fermata. Già nel 2012 il nostro export verso l'Uem è calato dell'1,5% in valore e difficilmente potrà tornare a brillare quest'anno, visto che l'area della moneta unica rimarrà stretta nella morsa rigore-recessione. Nel 2012 solo le vendite nei Paesi extra-Ue hanno continuato ad aumentare, precisamente del 9,2% rispetto al 2011, ed hanno iniziato anche il 2013 in modo molto positivo, mettendo a segno in gennaio una crescita del 17,7% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. In particolare, a gennaio sono andate molto bene le esportazioni verso i Paesi Asean (+32,2%), quelli Opec (+26,1%), il Giappone (+25,6%), la Cina (+24,6%) e gli Stati Uniti (+20,2%). Bisognerà però vedere che cosa accadrà quest'anno al cambio dell'euro. Se continuerà a rafforzarsi potrebbe produrre una perdita di competitività del nostro export. A meno che la crisi politica italiana determini una brusca inversione di tendenza, riportando la bufera sulla moneta unica. Nel qual caso, l'export potrebbe trarne qualche giovamento, ma per l'Italia nel suo complesso ci sarebbe ben poco da esser contenti.

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