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Questo articolo è stato pubblicato il 09 aprile 2013 alle ore 08:56.

L'industria del mobile, punta di diamante del design italiano, sta affrontando coraggiosamente in questi anni una delle crisi più profonde della sua storia. Già l'inizio del nuovo secolo era partito male, all'insegna della crescente concorrenza dei Paesi emergenti asiatici e di quelli dell'Est Europa, che aveva messo in difficoltà diverse filiere e distretti produttivi: su tutti le sedie friulane e i divani delle Murge, che avevano perso fatturato, export e occupati. Col 2008 è poi scoppiata la bolla mondiale dell'edilizia e dell'immobiliare e si sono di conseguenza "sgonfiati" all'improvviso e per un lungo tempo (purtroppo non ancora terminato) molti mercati importanti per il mobile italiano tra cui quello americano, quello inglese e quello spagnolo. Quindi è divampato il dissesto finanziario della Grecia, il cui contagio ha coinvolto un altro Paese periferico come il Portogallo e anche questi due mercati europei, piccoli ma non trascurabili, si sono di colpo come "spenti" per i nostri esportatori.
Infine, la grande recessione italiana innescata dalla perdita di credibilità politica del nostro Paese nel 2011 e dalla miope ricetta euro-tedesca del «rigore senza crescita» ha letteralmente portato al collasso l'industria nazionale delle costruzioni e il settore immobiliare, nonché il mercato domestico dei beni durevoli, tra cui quello dei mobili. Il calo del fatturato interno dell'industria italiana dell'arredo è inequivocabile: secondo l'Istat è stato addirittura del 33% dall'ottobre 2008 al dicembre 2012 (considerando la media "scorrevole" degli ultimi 12 mesi degli indici mensili del fatturato domestico). Per porre un argine alla durissima crisi del mercato nazionale e stimolare un minimo di domanda interna, FederlegnoArredo ha sollecitato le forze politiche a prorogare fino al 2015 le deduzioni Irpef per le ristrutturazioni edilizie estendendole anche a mobili e arredi. Ma finora, a parte l'inclusione di questa ipotesi nell'agenda elettorale del movimento Scelta Civica di Monti, nulla si è mosso e la confusione politica attuale di certo non aiuta a prendere decisioni concrete mentre la recessione continua spietata.
Di fronte a un simile scenario catastrofico, da autentica «tempesta perfetta», avremmo potuto aspettarci che i mobilieri italiani gettassero la spugna. Ma ciò non è accaduto. Le imprese, infatti, si sono rimboccate le maniche ed hanno cercato di reagire nell'unico modo possibile: intercettando la domanda estera dei mercati in crescita, anche quelli più remoti o non scontati, come l'Azerbaijan o la Nigeria. Ciò non ha consentito di recuperare tutto il fatturato estero pre-crisi, ma perlomeno ha permesso di mitigare le perdite e di seminare in Paesi dove la crescita della richiesta di arredo made in Italy nei prossimi anni potrebbe dare abbondanti raccolti. Sicché dal 2009 l'export italiano di mobili è in costante ripresa e nel 2012, pur restando ancora lontano dai massimi raggiunti nel 2007, ha toccato gli 8,1 miliardi di euro (fonte Edison su dati Istat), mentre il saldo commerciale attivo con l'estero è stato di 6,5 miliardi. Ancora una volta i fattori vincenti del made in Italy sui mercati esteri si sono rivelati la qualità dei prodotti, il design e la flessibilità e la prontezza delle imprese nel reagire al mutato quadro della domanda mondiale.
I dati 2012 dell'export italiano di mobili, considerato il difficile mix tra i mercati «malati» (cioè quelli colpiti dalla bolla immobiliare) e quelli «sani» (cioè in crescita o sostanziale ripresa), sono incoraggianti. Da un lato, infatti, rispetto ai livelli raggiunti dalle vendite estere nel 2007, cioè prima dello scoppio della crisi mondiale, nel 2012 dobbiamo registrare differenziali negativi ancora quasi drammatici del nostro export di mobili verso i Paesi la cui edilizia resta depressa oppure si è ripresa soltanto debolmente, nonché verso i Paesi in cui la crisi del debito pubblico ha letteralmente messo in ginocchio l'economia: Usa, Gran Bretagna, Spagna, Olanda, Danimarca (in questi primi cinque mercati l'export dell'industria italiana dell'arredo è tuttora inferiore del 30-50% rispetto ai livelli del 2007), per non parlare di Grecia e Irlanda (dove le nostre vendite si sono ridotte addirittura del 70%!).
A fronte di queste rilevanti cadute, però, l'export italiano di mobili nel 2012 è risultato meno cedente o addirittura in espansione rispetto ai livelli toccati nel 2007 nei Paesi finanziariamente più solidi, cioè meno interessati dalla bolla immobiliare o da problemi del debito sovrano: Germania, Francia, Belgio e Svizzera. Anche verso Russia ed Ucraina, pur non avendo ancora recuperato i livelli pre-crisi, l'export italiano nel 2012 appare meno distante dai valori del 2007 e in netta ripresa. Ma le note più positive vengono dai Paesi arabi, da diversi Paesi emergenti e da nuovi mercati minori ma promettenti. Rispetto al 2007, nel 2012 l'export italiano di mobili risulta fortemente cresciuto soprattutto in Arabia Saudita, Qatar, Kuwait, Cina, India, Brasile, Azerbaijan, Georgia, Nigeria.
Se analizziamo l'export in maggior dettaglio, guardando alle diverse categorie di prodotti, possiamo individuare alcuni trend interessanti. Sempre rispetto al 2007, nel 2012 nelle sedie e nei sedili riscontriamo importanti incrementi delle vendite italiane in mercati emergenti come Sudan, Cina, Qatar, Libano, Arabia Saudita, Brasile, Messico, Azerbaijan, Egitto, Marocco, Turchia, Kuwait, nonché in mercati tradizionali come Svizzera, Belgio, Finlandia, Svezia e Francia. Per i divani, nel raffronto 2007-2012 spiccano invece le nostre maggiori esportazioni in Qatar, India, Brasile, Libano, Lettonia, Azerbaijan, Marocco, Cina, Bahrein, Kazakistan, Australia, Emirati Arabi, Turchia, e Russia.
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