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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2013 alle ore 08:16.

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Così raccontata è una storia di successo nelle discontinuità delle crisi con in più l'empatia tra famiglia impresa e legno dei Margaritelli. La cultura della green economy entra in azienda con la commercializzazione retail iniziata nel 1995 del listone Giordano. Si capisce che quel prodotto immesso nella rete dei 600 punti vendita si porta appresso una filiera che va dalle foreste certificate, in Francia e una sperimentale in Umbria, perché ci vogliono 180 anni per far crescere una foresta, la certificazione dei materiali e della lavorazione a cui si aggiunge una fondazione titolata a Guglielmo Giordano per diffondere la cultura del legno nell'abitare, nel costruire e nel design. Cultura che viene avanti e riemerge di fronte alla crisi del ciclo del petrolio e del cemento.
Una cultura di impresa che parte dal margine: il fabbro ferraio, il carbonaio, le traversine, margine rispetto all'acciaio, il listone sotto i piedi e i tempi lunghi delle foreste che sono altro dalla velocità del petrolio e del cemento. Un saper cogliere la vibratilità del margine che innovando ti riporta al centro.
Non mi ha quindi meravigliato, durante il Salone del Mobile, vedere assieme Andrea Margaritelli e il designer radicale Aldo Cibic presentare alla Triennale una freedom room, un modello abitativo essenziale, a basso costo, pensato con i detenuti e prodotto in carcere. Insomma si è partiti da una cella di 4 metri per 2,70 dove oggi stanno anche in sei persone nel disumano sovraffollamento delle carceri italiane che hanno 45mila posti per 68mila detenuti. Si arriva a progettare freedom room sempre seguendo la via del legno.
Perché a Spoleto, una delle carceri di massima sicurezza italiane, c'è una grande falegnameria con cui l'impresa lavora e qui si producono molti degli arredi per le altre carceri. Con loro, partendo dalla creatività coatta e segregata degli invisibili carcerati che stanno al margine, Aldo Cibic ha realizzato lo spazio per due persone sobrio e vivibile ove tutte le innovazioni per sopravvivere nello spazio della segregazione disumanamente sovraffollata sono utilizzate per ricreare una freedom room che può essere una stanza d'albergo a basso costo, la risposta a necessità di temporary housing, ostelli diffusi o social housing.
Un'istallazione che interroga su come fare green society, altro dall'iperlusso degli alberghi per i sorvolatori del mondo a cinque, sei anche sette stelle. Sarà bene precisare, visto che nella crisi e nella discontinuità i furbetti abbondano, che la provocazione di freedom room non vuol dire estendere l'universo carcerario ma il suo contrario. Anche nelle carceri italiane le celle del sovraffollamento dovrebbero essere tante freedom room. Basta già la pena dell'essere fuori dal tempo sociale senza aggiungere il dramma dello spazio che costringe il corpo. Come sostengono gli ideatori, freedom room vuole essere il punto di partenza per ripensare anche le celle delle carceri italiane, non il suo contrario. Anche questo è fare green society.
bonomi@aaster.it
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