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Questo articolo è stato pubblicato il 10 maggio 2013 alle ore 06:47.

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Gli 800 milioni e rotti sono un incremento importante, pari al 55% in sei anni, che però, rileva la quarta edizione del report, «potrebbe risultare ottimistica in assenza di mutamenti nelle strategie di internazionalizzazione delle imprese del bello e ben fatto italiano». Che parte da posizioni di forza rispetto ad altri settori tipici del made in Italy, inclusa la moda in senso stretto, soprattutto nelle nicchie di mercato d'alta gamma: «La distanza media coperta dall'export orafo italiano è di 4mila chilometri, almeno mille in più rispetto agli altri settori del bello e ben fatto».
Per Giuseppe Schirone e Patrizia Di Cicco di Prometeia, «questo è un settore che soffre di illusioni ottiche: nonostante la componente inflattiva legata all'incremento delle quotazioni della materia prima, l'aumento dell'export nel 2012, pari al 10,9% a 5,6 miliardi, compensa almeno in parte il crollo del mercato interno, sceso del 12,4%. Al netto degli incrementi del prezzo dell'oro, tuttavia, anche il dato delle esportazioni sarebbe negativo: -3,5% nel 2012. Insomma, una storia del tutto differente».
Il mercato della gioielleria, comunque, rimane molto frammentato e "no logo": secondo un'analisi presentata a Baselworld 2013 da Swarovski, «i marchi rappresentano soltanto il 19% del totale».
«Oggi – spiega Augusto Ungarelli, presidente del Club degli Orafi, l'associazione che raggruppa 26 aziende che invece sulla marca hanno puntato da molto tempo, e a capo di Vendorafa, fondata nel '51 dal suocero e da suo fratello – la gran parte delle aziende del settore è decisamente familiare, con tutti i vantaggi che ne derivano sotto il profilo della flessibilità. Ma certo il settore non vive un momento di euforia: per essere più competitivi nelle sfide globali, bisogna avere una struttura più organizzata, dotarsi di competenze manageriali, intervenire sulla formazione professionale, puntare su una politica di marca e internazionalizzarsi. Purtroppo possiamo partecipare alle fiere all'estero, ma alle nostre spalle non c'è un sistema-Paese che ci supporti adeguatamente».
La strada, come per altri settori del made in Italy dominati dalla piccola (anche micro) o media dimensione, potrebbe essere quella delle alleanze. «Ma sono molto difficili – ammette Ungarelli – e, semmai, chi ha un family business con un buon patrimonio di conoscenze tecniche e stilistiche è teoricamente candidato alla vendita a un big. Sempre che il marchio sia già conosciuto». Senza la forza del brand, concludono Schirone e Di Cicco, «è scarsissimo il potere contrattuale nei confronti della distribuzione internazionale e finisce che si è costretti a competere in base a meri fattori di prezzo». Sui quali l'Italia è, ovviamente, in difficoltà.
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IL RATING DEL SOLE
Il punteggio
Attraverso una griglia di 13 variabili ciascun settore produttivo è definito nei suoi punti
di forza e di debolezza. Nel caso dell'oreficeria, spiccano gli investimenti in R&S, l'internazionalizzazione e le alleanze strategiche
IL GIUDIZIO
-
PUNTI DI FORZA
1
INVESTIMENTI IN R&S
Almeno per le imprese che hanno scelto strategie di sviluppo del marchio il contenuto innovativo è notevole e si può accompagnare a un know how indiscusso
BUONI
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2
INTERNAZIONALIZZAZIONE
Anche se ha perso una leadership mondiale detenuta per decenni, l'industria orafa è pur sempre il settimo esportatore ma sembra frenare rispetto a India e Cina
BUONA
-
3
ALLEANZE STRATEGICHE
Aziende sconosciute al pubblico dei non addetti ai lavori , anche di taglia «mini», lavorano come terziste per i colossi internazionali della gioielleria di lusso
DISCRETE
-
PUNTI DI DEBOLEZZA
1
PRESENZA MULTINAZIONALI
Praticamente nulla: la dimensione media delle aziende del settore è di appena 3,3 addetti. Moltissime imprese sono nella fase di un passaggio generazionale difficile
BASSA
-
2
ANTIDOTI ALLA CONCORRENZA SLEALE
Oltre alla contraffazione, i dazi doganali sono una zavorra sull'export: se fossero cancellati l'export orafo made in Italy varrebbe un miliardo in più all'anno
SCARSI
-
3
MERCATO DOMESTICO
I consumi interni di gioielli hanno subito un vero e proprio tracollo: nel 2003, secondo Thomson Reuters, si consumavano 82 tonnellate di oro fino, nel 2012 erano 22,3
INSUFFICIENTE
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Gli artigiani del lusso
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