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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2013 alle ore 06:47.
L'ultima modifica è del 28 maggio 2013 alle ore 18:05.

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Un malessere crescente che non va sottovalutato

di Roberto Iotti
Il presidente Giorgio Squinzi ne aveva già trattato un anno fa, leggendo il discorso del suo insediamento al vertice di Confindustria. E lo ha ribadito con vigore giovedì scorso durante l'assemblea annuale degli imprenditori: a fianco di una storica e ormai endemica "questione meridionale", sotto l'incalzare della recessione è maturata anche una "questione settentrionale". Un malessere crescente, che pervade il tessuto produttivo del Nord e che lo sta allontanando dalle altre aeree a maggiore vocazione industriale dell'Europa.

Le parole del presidente di Confindustria non sono un retorico esercizio di geografia leghista o di sottostima dell'emergenza Sud. Anzi. Dalla prima scintilla di crisi nel 2008, a oggi, i problemi che tutti i giorni le aziende manifatturiere devono affrontare sono ancora lì. Domande a cui nessuno ha dato risposta o, se risposta c'è stata, è stata solo parziale. Da Torino a Brescia, da Varese a Vicenza, da Piacenza a Ravenna le imprese chiedono cose semplici che sembra invece difficile ottenere. Una burocrazia non pletorica; un Fisco non invasivo; un costo del lavoro a livello degli altri Paesi industrializzati; infrastrutture degne del secondo Paese manifatturiero in Europa; un costo del denaro accessibile per poter finanziarie gli investimenti; giustizia in tempi giusti e non dilatata nei decenni; un digitalizzazione che faccia viaggiare i dati in banda ultralarga anzichè con il tam tam. In una sola parola riforme strutturali in grado di liberare forza e pontezialità delle imprese.

Sarebbe tuttavia un errore credere che tutto ciò sia solo l'ennesima "lista della spesa" di un sistema produttivo che ha rinunciato a rimboccarsi le maniche, preferendo invece la via della lamentela. Basta chiedere ai tanti gruppi esteri che vorrebbero investire nel nostro Paese per capire perchè sono ancora sulla soglia della porta. Se non si pone subito mano al tema di che politica industriale dare all'Italia, presto oltre alla questione settentrionale, dovremmo affrontare anche una questione internazionale: nessuno investe in un Paese dove per avere una licenza edilizia occorrono tre anni. Se va bene.

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