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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 10:54.

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Paolo MaggioliPaolo Maggioli

Mentre ad Albacina (distretto dell'elettrodomestico di Ancona) si celebravano ieri gli 83 milioni di investimenti del piano Italia di Indesit Company, sei chilometri a ovest in linea d'aria montava la rabbia per la disattenzione del Governo verso un'altra (ex) gloria della dinastia Merloni, il ramo del terzista del bianco Ardo, oggi J&P Industries.

Tre siti produttivi (due nel Fabrianese e un terzo in Umbria) e 700 dipendenti salvati nel 2011 dall'imprenditore cerretese Giovanni Porcarelli - con il suo gruppo Qs per l'automazione industriale - rischiano di restare senza lavoro, perché l'annullamento della vendita, confermato in appello a fine aprile, sta facendo collassare gli ordini. Così come rischiano gli altri 1.450 addetti dell'Antonio Merloni non riassorbiti da J&P: «A ottobre scade la cassa integrazione in deroga e saranno messi tutti in mobilità, visto che gli accordi di programma per la reindustrializzazione e i 70 milioni di finanziamenti disponibili sono rimasti lettera morta. Sono deluso dall'incontro con Giuliano Poletti avuto ieri». Non nasconde l'amarezza il segretario provinciale della Fiom, Fabrizio Bassotti, nonostante le rassicurazioni avute dal ministro del Lavoro sul fatto che già oggi la questione J&P sarà sul tavolo della collega dello Sviluppo economico Guidi e del premier Renzi.

«Non c'è più tempo, è due mesi che chiediamo udienza al Mise e veniamo ignorati. Le notizie circolano in fretta – ribadisce il segretario Fiom - e i clienti internazionali di J&P hanno ridotto le commesse di fronte all'incertezza giuridica sulla proprietà aziendale». Ribadisce l'assessore al Lavoro della Regione Marche, Marco Luchetti, presente ieri all'incontro con il ministro Poletti: «Le Regioni Umbria e Marche hanno già sollecitato un intervento del Governo che possa contribuire a chiarire il quadro giuridico legato alle procedure di vendita nelle procedure di amministrazione straordinaria. Stiamo ancora aspettando delle risposte. Qui è a rischio la coesione sociale di un intero territorio».

A distanza di cinque anni e mezzo dall'avvio dell'amministrazione straordinaria per l'ex colosso europeo del contoterzismo Antonio Merloni e a due anni e mezzo dalla cessione del ramo d'azienda, le sentenze di primo e secondo grado che hanno annullato la vendita aprono una voragine non solo per l'economia appenninica (oltre ai 2.200 posti diretti in bilico ci sono anche i 12mila addetti della filiera di piccole imprese) ma per le stesse banche creditrici che hanno fatto ricorso di fronte ai 13 milioni di euro pagati da Porcarelli per l'acquisto, contro i 54 milioni (quattro volte di più) decretati dal giudice come valore minimo per la cessione. «I sette istituti che con i prestiti facili hanno accelerato il fallimento dell'ex Ardo ora stanno mettendo a repentaglio l'unica offerta credibile arrivata sul tavolo dei commissari straordinari e di fatto anche le chance di incassare i 176 milioni di crediti vantati», sottolinea la Fiom di Ancona. Tanto che nei giorni scorsi è iniziata una trattativa tra le banche e il cavaliere bianco cerretese per studiare un piano B che eviti la chiusura della J&P e soddisfi almeno in parte i creditori prima del 2015, data del definitivo pronunciamento della Cassazione, tempo incompatibile con la sopravvivenza della newco.
Non ci sono al momento luci all'orizzonte, invece, per gli altri 1.500 addetti esclusi dal salvataggio. «L'Accordo di programma delle aree di crisi dell'ex A.Merloni – spiega Luchetti - prevede un investimento di 35 milioni (fondi statali, più altri 20 milioni dalla Regione Marche e 15 da Regione Umbria ed Emilia-Romagna per un totale di 70 milioni, ndr) per favorire le nuove attività produttive. Le Marche hanno presentato ben 62 progetti e una quarantina l'Umbria, ma i vincoli imposti dalla legge 181, complicata e farraginosa, rendono inaccessibili le risorse alle Pmi. È una situazione inaccettabile e paradossale».
Un quadro preoccupante confermato dagli ultimi dati Unioncamere Marche che prevedono entro fine anno la cancellazione di 6.670 posti di lavoro in regione.

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