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Questo articolo è stato pubblicato il 17 giugno 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 04 luglio 2014 alle ore 14:46.

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VENEZIA - Per il Consorzio Venezia Nuova il governo studia l'ipotesi del commissariamento. Si tratterebbe di un passaggio graduale per riportare la società che si occupa della realizzazione del Mose alle regole della legge ordinaria (o al massimo di una legge speciale), abbandonando così la legge Obiettivo. L'esecutivo ritiene ancora che l'opera sia strategica. Si pensa piuttosto che l'anomalia gestionale che ha portato nel tempo alla corruzione nasca proprio da quella legge Obiettivo del 2002 che ha permesso al Cvn di elargire fondi e fare affidamenti senza gare pubbliche.

L'inchiesta giudiziaria della procura di Venezia ha messo in luce un meccanismo perverso fatto di tangenti, per l'ottenimento dello sblocco delle risorse pubbliche in sede ministeriale e regionale, e di fatture gonfiate per finte consulenze dentro il Consorzio Venezia Nuova. Una macchina che ha funzionato così per almeno un decennio e che dal 2005 al 2012, secondo i procuratori veneziani, ha prodotto 40 milioni di fondi neri, perlopiù nascosti in Svizzera e a San Marino. Ieri intanto il Tribunale dei ministri ha iniziato a studiare le carte relative all'ex responsabile di Ambiente e Trasporti Altero Matteoli.

Il Mose è un'opera che a oggi vale 5,5 miliardi. Nel 2002 la cifra sembrava ammontasse a 3,4 miliardi. Il costo di manutenzione stimato è di circa 40 milioni all'anno. Proprio l'inchiesta ha fatto rinascere a Venezia un nuovo movimento d'opionione su costi e benefici dell'opera. E non solo. Il gruppo di tecnici che nel 1998 negò per primo la Valutazione di impatto ambientale al Mose, sottolineando la pericolosità delle cosiddette "cerniere", oggi si è ricostituito per fare pressione al governo e chiedere di rivedere tutta l'opera. Dalle carte dell'inchiesta infatti potrebbe emergere anche un aspetto che va oltre le tangenti e i fondi neri: la corruzione potrebbe essere avvenuta anche per superare gli ostacoli costituiti dai pareri negativi, e garantire comunque la costruzione di quegli stralci di opera potenzialmente più rischiosi. Questo lo sottolinea Andreina Zitelli, che all'epoca faceva parte della Via del governo Prodi: «Sarebbe opportuno che il progetto venisse rivisto prima di proseguire, aveva molte criticità superate dalla politica ma non dal punto di vista tecnico, visto che sono mancati i controlli - dice Zitelli - Ricordiamo che la laguna veneziana è una realtà ecologica complessa, è la più grande Zps (zona a particolare sensibilità) più grande d'Europa».

La storia della Valutazione di impatto ambientale del Mose è in effetti complicata. Nel '98, durante il governo Prodi, la Via era negativa ma per una decisione presa dal Comitato dei ministri di indirizzo e controllo di Venezia l'opera proseguì il suo corso. Nel 2001 il governo Amato sollevò dei dubbi ma di nuovo il Comitato decise di confermare i cantieri. Nel 2002, durante il governo Berlusconi, si passò dalla legge Speciale, che ha bisogno di un passaggio annuale in Parlamento, alla legge Obiettivo, che garantisce risorse direttamente dal Cipe. Nel 2006, durante il governo Prodi, l'ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari inviò di nuovo al governo uno studio realizzato dai tecnici della Via, ancora negativo. L'opera è ancora oggi considerata strategica, ma la legge Obiettivo probabilmente, dopo l'inchiesta giudiziaria, non sarà più garantita.

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