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Questo articolo è stato pubblicato il 04 luglio 2014 alle ore 06:40.

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FISCIANO (SA)
«Esiste una sola grande questione nazionale ed è la questione industriale». E il Sud ha il dovere di coglierla, attraverso una «rete virtuosa tra università e impresa» che parta dalla «valorizzazione dalle specificità del territorio». Sono parole di Vincenzo Boccia, presidente del comitato tecnico credito e finanza di Confindustria che ieri pomeriggio all'Università di Salerno è intervenuto al dibattito sulla cosiddetta "terza missione" degli atenei (valorizzazione economica, ma anche divulgazione della conoscenza alla società), organizzato nell'ambito della "Borsa della Ricerca for Sud" in corso fino a oggi al campus di Fisciano.
Un'iniziativa che vede la partecipazione di oltre 70 imprese, 130 tra laureati e dottori di ricerca e ha visto svolgersi da mercoledì a oggi qualcosa come 700 colloqui di selezione e 600 appuntamenti one to one tra progetti pon e start up. Il dibattito di ieri, con la partecipazione del direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, ha avuto al centro in particolare il rapporto tra industria e accademia. «Negli ultimi anni – ha detto Boccia – a capitale e lavoro si sono affiancati nuovi fattori produttivi, come conoscenza e informazione. Devono costituire un ponte tra l'università e l'impresa: solo se il mondo accademico e quello produttivo si aprono si creano infatti i presupposti per la crescita». Stefano Fantoni, presidente dell'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (Anvur), ha sottolineato come «il problema italiano non stia nel numero elevato delle università, quanto piuttosto nel trovare il modo di potenziare il sistema accademico così da aiutare a crescere il sistema Paese». Ettore Novellino del Consiglio universitario nazionale ha sollevato spunti critici sulle ultime riforme delle Università «che hanno portato a una diversificazione spesso incomprensibile dell'offerta dei corsi di laurea. Inizialmente passarono da 500 a 5.200. Dopo un intervento di razionalizzazione si è scesi a quota 4.200 lauree, ma continuano a essere troppe». Se è vero che l'eccessiva genericità degli indirizzi non aiuta il dialogo con il mondo produttivo, è altrettanto vero che «l'eccessiva specificità genera soltanto confusione». Il vicepresidente della regione Campania Guido Trombetti ha citato invece le azioni messe in atto da Palazzo Santa Lucia per mettere in rete università e impresa: «Abbiamo lanciato i dottorati in azienda, con due effetti positivi: le pmi hanno avuto occasione di fare innovazione, le università sono state "costrette" ad adeguarsi alle esigenze delle imprese. Poi abbiamo lavorato sui distretti costituendone sei, con 500 milioni d'investimenti, la partecipazione di 500 Pmi e la costituzione di una rete tra atenei e mondo produttivo».
Interessante il tema sollevato dal rettore dell'Università Federico II di Napoli Massimo Marrelli, secondo il quale «il problema della partnership tra università e impresa è l'eccessiva complessità dell'ordinamento giuridico italiano». Francesco Ferrante del consorzio Alma Laurea ha in ultimo fatto riferimento a uno studio del suo istituto che dimostra come «i dottori di ricerca vanno sempre di più a lavorare in azienda. Ha avuto luogo un cambiamento culturale auspicato da molti».
@MrPriscus
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