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Questo articolo è stato pubblicato il 09 agosto 2014 alle ore 08:13.

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MILANO.
L'Italia è tecnicamente in recessione. La frenata dello 0,2% del Pil nell'ultimo trimestre, che segue il calo dello 0,1% registrato a marzo, ha confermato tutte le difficoltà del paese (nonostante il mini-rimbalzo della produzione industriale registrato a giugno) nell'agganciare la ripresa. Il dato nazionale nasconde però una profonda spaccatura sul territorio: l'Italia, come hanno confermato nei giorni scorsi le anticipazioni del rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno, è sempre più divisa in due, a causa di un divario crescente tra le regioni del nord – che stanno lentamente recuperando il gap con il 2007 – e un sud a rischio desertificazione industriale (su circa 100 miliardi di export, solo 30 miliardi provengono da quest'area) con i principali poli produttivi del territorio messi in discussione dalle difficoltà della crisi.
Ci sono aree del paese dove si riorna a parlare di investimenti e nuovi ordini. A Brescia, per esempio, l'ufficio studi dell'Associazione industriale locale ha registrato a giugno un incremento della produzione del 3,2% rispetto al corrispondente periodo dell'anno precedente. Da inizio anno è la seconda rilevazione trimestrale consecutiva positiva. «Contrariamente a quanto registrato a livello nazionale – spiegano dagli uffici dell'Aib –, il made in Brescia, grazie anche alla consolidata vocazione internazionale, sta beneficiando del moderato riavviarsi della crescita dell'attività economica globale». Nel primo trimestre l'export delle aziende bresciane è cresciuto del 5,7%, per un valore totale di 3,462 miliardi. A trainare la corsa sono Brasile, Usa, Spagna e Paesi Bassi. Vengono premiate soprattutto le aziende della filiera automotive, i produttori di macchine utensili (+14,4%, secondo Ucimu la crescita nel secondo semestre per questo settore) e di materie plastiche. Ci sono fonderie che stanno investendo per rinnovare gli impianti per assecondare le esigenze della componentistica auto, produttori di valvolame che scommettono su nuovi materiali. In recupero anche settori insospettabili: Lonati, gruppo bresciano da anni leader nella produzione di macchine per calze da uomo e da donna, ha per esempio chiuso il 2013 con una crescita del fatturato del 16% (a 249 milioni) e un utile (più che triplicato) di 20 milioni, grazie soprattutto alle esportazioni in Cina, Turchia ed Usa.
Non tutto però corre alla massima velocità (la stessa Brescia teme nei prossimi mesi gli effetti della frenata tedesca). I settori più legati al mercato interno, anche al nord, faticano. In Lombardia, secondo l'ultimo rapporto semestrale sull'industria metalmeccanica della Fim Cisl, ci sono ancora 41mila lavoratori in cassa integrazione, e i licenziamenti, negli ultimi sei mesi, son stati 3.400. L'«indice della crisi» costruito dalla Fim è però al minimo da qualche tempo a questa parte: 574 (la base 100 è del 1997) contro 694 di fine 2013 (791 nel corrispondente periodo dell'anno prima). Anche il numero di lavoratori in cassa e in mobilità, pur se consistente, sta calando ed è al minimo da quattro anni a questa parte. Per il resto, le difficoltà della Lombardia si limitano al dimezzamento della crescita nell'ultimo trimestre (l'incremento della produzione industriale è stato «solo» dell'1,5%), ma a fronte di un fatturato che, secondo l'indagine periodica di Unioncamere e Confindustria Lombardia, risulta in aumento per il sesto trimestre consecutivo per la maggior parte delle aziende.
Restando in Nord Italia, anche il Veneto, nonostante le difficoltà di alcuni settori-chiave come l'elettrodomestico, sta tentando la strada della ripresa, come confermano i dati positivi, tra gli altri, dell'occhialeria. Nel secondo trimestre dell'anno, secondo l'ultima congiuntura di Confindustria Padova, l'indice della produzione industriale è aumentato del 2,1% rispetto allo stesso periodo del 2013, con la spinta del metalmeccanico (+3,3%), delle imprese con oltre 50 addetti (+2,6%) e, a sorpresa, anche del settore delle costruzioni (+2,6 per cento). In Emilia Romagna invece il distretto del packaging (vale il 62,5% del comparto nazionale) ha battuto il suo record di fatturato proprio l'anno scorso (oltre 6 miliardi), con una crescita del 9,2% oltre le previsioni di fine anno.
Al sud, al di là delle indicazioni congiunturali (Svimez segnala nel 2013 un crollo del pil del 3,5%, che segue il -3,2% dell'anno precedente), preoccupa il rischio di desertificazione industriale: «dal 2008 al 2013 – scrive l'associazione – il settore manifatturiero ha perso il 27% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti, calati del 53%). Più che i numeri parla la cronaca. La vicenda legata all'Ilva di Taranto è emblematica: nel 2013 l'industria siderurgica italiana dei prodotti piani ha perso più del 16% della produzione per gli stop agli impianti pugliesi. Nelle scorse settimane, in Basilicata, anche Siderpotenza (gruppo Pittini) ha rischiato uno stop prolungato: la crisi è stata risolta e gli impianti dovrebbero essere riattivati a settembre. Tra Puglia e Basilicata, anche il distretto del mobile ha alzato bandiera bianca. Solo la meccanica di Bari resiste in quest'area. Altre vicende emblematiche delle ultime settimane, al sud, sono quelle della Keller (ha impianti in Sicilia e in Sardegna), del petrolchimico di Gela, a rischio dopo la revisione delle strategie dell'Eni: la sua chiusura, ha ricordato il presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta «avrebbe un effetto devastante sul pil della Sicilia, con un calo del 7%». Semaforo rosso anche per i tentativi di riconversione: i tavoli di Termini Imerese (Fiat), Portovesme (Alcoa), Valle Ufita (Irisbus) – solo per citarne alcuni – sono ancora lontani dal traguardo finale.

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