Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2014 alle ore 15:21.
Sulle sorti dell'Ast di Terni, acciaieria dove sono a rischia 550 addetti, secondo il piano di ristrutturazione annunciato da ThyssenKrupp, interviene ora anche il vescovo della città umbra, Giuseppe Piemontese. Lo fa invocando il Mitbestimmung, il modello di relazioni industriali adottato in Germania dalla seconda metà del Novecento: insomma, proprietà, governo e lavoratori cerchino insieme soluzioni per lo sviluppo dell'Ast. «Partecipazione, cogestione e codeterminazione sono - spiega il presule - i significati che in italiano assume la parola Mitbestimmung, "fiore all'occhiello" della tradizione economica tedesca, a cui appartiene la ThyssenKrupp, proprietaria dell'acciaieria».
Piemontese riconosce che «in Italia le relazioni sindacali sono improntate prevalentemente ad altri modelli, ma da una grande industria tedesca ci si aspetterebbe che almeno lo spirito della Mitbestimmung venisse colto e promosso. Ciò che è mancato nel piano industriale presentato dalla ThyssenKrupp è quel mit, insieme, che nella lingua tedesca esprime incontro, partecipazione, socialità, fraternità, famiglia, squadra».
Le parole del vescovo arrivano a pochi giorni dal previsto incontro al ministro dello Sviluppo economico proprio sulla vertenza che riguarda l'azienda siderurgica umbra. Il tavolo al Mise (uno dei 160 tavoli di crisi aperti, per oltre 155mila lavoratori coinvolti) è in programma il prossimo 4 settembre (quando è in calendario anche il dossier Alcatel riguardante la cessione dello stabilimento lombardo di Vimercate): proprio grazie alla convocazione dell'incontro al ministero, il governo aveva ottenuto nelle scorse settimane che la proprietà tedesca congelasse la mobilità per 550 addetti, su un totale di quasi 3mila dipendenti.
In merito al futuro, il vescovo Giuseppe Piemontese si chiede come mai l'Ast «sia giunta ad una condizione tale da non potersi prevedere un piano di rilancio, ma solo di dismissioni. Quali le cause di tale stato di disimpegno? È imperizia di chi ha avuto il timone in mano o di maestranze distratte o incompetenti»? Il timore dell'alto prelato, espresso nel suo intervento è che alla fine «le conseguenze e i costi ricadano prevalentemente sui lavoratori e le loro famiglie. E ciò non è corretto, né tanto meno giusto, neanche in
un'economia di mercato».
©RIPRODUZIONE RISERVATA