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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2014 alle ore 13:09.

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Un pozzo di petrolio in Basilicata (Olycom)Un pozzo di petrolio in Basilicata (Olycom)

Le semplificazioni previste dal decreto Sblocca Italia per il settore dell'energia potrebbero generare investimenti per 17 miliardi e creare forse 100mila posti di lavoro, promette il Governo. Hanno protestato il Movimento 5 stelle e il presidente della Puglia, Nichi Vendola: più o meno hanno detto che il territorio viene svenduto alle trivelle petrolifere, alle odiate multinazionali, alla devastazione del territorio.

Al contrario hanno esultato le compagnie petrolifere: «Diamo un grosso benvenuto», commenta Pietro Cavanna, vicepresidente dell'Assomineraria con delega al settore idrocarburi e geotermia. L'oggetto del capitolo energia del decreto varato nei giorni scorsi riguarda – con un linguaggio di nitidezza inconsueta rispetto a decenni di provvedimenti incomprensibili scritti da burosauri – proprio questo: con le tecnologie di oggi si è scoperto che l'Italia è un Paese petrolifero a tutti gli effetti. Sotto i piedi degli italiani c'è un perù di giacimenti di greggio e di metano. E in via teorica c'è anche un bendidìo perfino di carbone, visto che le miniere del Sulcis (che stanno chiudendo) in un secolo di scavo intenso hanno estratto soltanto le briciole di un giacimento di cui non si conoscono i confini e che si sa pieno di un numero indefinito di miliardi e miliardi di tonnellate di minerale troppo pieno di zolfo per trovare mercato.

Ma se le riserve nazionali di lignite di bassa qualità non sono utilizzabili nel mondo d'oggi, quelle di petrolio e metano sì. L'olfatto fine delle compagnie petrolifere e la Strategia energetica nazionale varata ai tempi del governo Monti hanno stimato che sotto la Penisola e sotto i mari italiani ci siano giacimenti pari a 700 milioni di tonnellate di petrolio (o di gas), mezzo secolo di estrazione.
Lo Sblocca Italia semplifica le regole per sfruttare i giacimenti, chiarisce le regole sulle royalty che le compagnie devono pagare all'Italia, concentra nello Stato centrale le decisioni strategiche.
«Da anni sono bloccati circa 40 progetti di investimento per circa 17 miliardi. Potrebbero raddoppiare nelle casse dello Stato il gettito di tasse e royalty pagate da noi: da 1,7 a 3,5 miliardi. Gli italiani potrebbero pagare 6,5 miliardi in meno di importazioni petrolifere l'anno», sottolinea Cavanna dell'Assomineraria.

Dove sono queste ricchezze sepolte? Non solamente nella solita val d'Agri in Basilicata, né soltanto di fronte alla riviera romagnola in Adriatico oppure sotto il Ticino fra Lombardia e Piemonte, dove centinaia di pozzi e di piattaforme estraggono da decenni metano e petrolio.
Le nuove frontiere sono ancora in Basilicata con il giacimento di Tempa Rossa che promette grandi soddisfazioni; scendendo lungo la stessa formazione sotterranea, il fondale del mar Ionio dovrebbe nascondere un bengodi se non fosse che in quella zona il termometro della contestazione locale dei sedicenti ecologisti segna la febbre alta. E poi tutto l'Adriatico verso la costa dalmata (per lo stesso motivo la Croazia sta avviando le trivellazioni quanto più possibile verso l'Italia). In Sicilia, si prospettano scoperte sorprendenti nel mare verso Malta. Nel mar di Sardegna verso le Baleari e il Golfo del Leone le prime tracciature del sottosuolo annunciano risorse ingenti. Le tecnologie di oggi hanno permesso di scoprire altre riserve in Mediterraneo (attorno a Cipro, al largo di Israele) che stanno sconvolgendo i pesi della geopolitica mondiale dell'energia.
Oggi in Italia tutto è fermo da almeno sei anni e quello che si estrae oggi risale ai progetti del secolo scorso, cioè ogni anno si producono in Italia circa 5,4 milioni di tonnellate di petrolio e 8,5 miliardi di metri cubi di gas per un fatturato di circa 7,3 miliardi mentre l'Italia brucia 60 milioni di tonnellate di petrolio l'anno.

Non a caso pochi mesi fa l'Assomineraria aveva firmato un accordo con Rosario Crocetta, presidente della Sicilia, per poter condividere con i cittadini siciliani i benefici di quelle risorse oggi sepolte e inutilizzate.
Perché per anni nessuno ha "battuto chiodo"? Un po' è colpa (o merito) del titolo V della Costituzione, che su queste scelte strategiche aveva affidato un ruolo forte alle Regioni. Un po' è colpa (o merito) dell'immaginazione di chi teme che le perforazioni danneggino l'ambiente, il turismo, la salute, la pesca, l'agricoltura. Questa immaginazione fervida non viene scalfita dal fatto che l'industria dei giacimenti sia la più sicura fra tutte, e che le imprese italiane del settore siano riconosciute come le migliori al mondo sul fronte ambientale, né soprattutto dal fatto che 40 piattaforme non abbiano impedito alle spiagge della Romagna di raccogliere una messe di bandiere blu (96 nel 2012, 93 nel 2014).

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