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Questo articolo è stato pubblicato il 16 settembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 04 dicembre 2014 alle ore 20:49.

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ROMA - Il nome (ma solo il nome) c'è già: Esep, che sta per European Science for Energy Policy. Sarà (se davvero nascerà) un comitato europeo formato dai maggiori centri di ricerca e valutazione delle tecnologie e delle politiche energetiche. Il ruolo: suggerire ai governanti della Ue i criteri dei nuovi piani sull'energia e l'ambiente che dovranno proiettare al 2030 non solo i vincoli sul clima ma anche il modo migliore per promuovere, tutti insieme, le migliori soluzioni tecnologiche per arginare la crescente dipendenza energetica del Vecchio Continente. Con un mutamento strategico già auspicato da molti manovratori dell'energia italiana: il sistema rigido di quote e obiettivi che caratterizza il "pacchetto clima" al 2020 dovrà essere sostituito, nella proiezione al 2030 e oltre che la Ue si propone di varare entro i prossimi mesi, con un sistema flessibile e aggiornabile in corso d'opera, che tenga conto non solo dei progressi che i singoli paesi devono assicurare per colmare i gap più evidenti ma anche dei risultati già ottenuti e delle reali potenzialità nelle soluzioni o tecnologie da mettere poi al servizio degli altri stati membri.

Di più. «Dovrà essere una rete europea per governare l'innovazione, per fare delle nuove politiche energetiche uno strumento strategico per sostenere il ciclo economico» azzarda Luciano Violante nella veste di presidente di Italia Decide. La proposta di istituire il "super-comitato" Esep, dibattuta ieri in un convegno alla Camera, ha l'esplicito sostegno non solo dei nostri maggiori operatori energetici (da Enel a Sogin) ma potrebbe essere fatta propria dal nostro Governo come missione cruciali del semestre di presidenza Ue. Ci crede anche Claudio De Vincenti, sottosegretario allo Sviluppo economico. L'Italia ha «punti di forza» che può far valere a vantaggio di tutti. «Ad esempio nelle tecnologie dei biocombustibili e nella geotermia, nel solare a concentrazione» e soprattutto «nei settori cruciali per il progresso delle rinnovabili e l'affrancamento dalla dipendenza energetica: i sistemi di accumulo e la filiera dell'efficienza».

Certo, il nostro paese continua a pagare debolezze clamorose, a cui deve rimediare: «Le risorse in ricerca e sviluppo rispetto al Pil sono inferiori rispetto agli altri paesi» mentre continuiamo ad avere (ancora più grave) «una scarsa capacità di spesa dei fondi strutturali comunitari». Missione in ogni caso difficile quella dell'aggiornamento strutturale del piano Ue su energia e clima, perché – incalza De Vincenti - «se l'ambiente deve essere parte essenziale dei nostri obiettivi rimane la questione della compatibilità economica delle politiche di settore». Anche perché i nuovi target ipotizzati dalla Ue meritano forse una validazione scientifica più ponderata. Il taglio del 40% delle emissioni di CO2 al 2030 rispetto al 1990 di cui si discute a Bruxelles? «Si tradurrà inevitabilmente nell'obbligo di azzerare o quasi le emissioni dell'intera generazione elettrica» avverte Giuseppe Zollino, il super-esperto chiamato alla presidenza della Sogin.

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