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Questo articolo è stato pubblicato il 23 settembre 2014 alle ore 12:50.
L'ultima modifica è del 23 settembre 2014 alle ore 18:31.

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Aggiornamento cercasi
Oltre il 76% delle professioni sente la necessità di aggiornare conoscenze e competenze, soprattutto quelle a più elevata specializzazione, quelle tecniche e dell'alta dirigenza. Ma le occasioni «risultano inadeguate», osserva il rapporto. La "manutenzione" dell'attività è svolta almeno una volta l'anno soltanto per poco più della metà delle professioni (il 52,7%), la formazione è proposta nell'8% appena dei casi solo occasionalmente e mai per una professione su tre.

Creatività, questa sconosciuta
Non stupisce che la capacità di generare il nuovo, dunque la propensione a ideare, sia poco diffusa nel mercato del lavoro italiano: valutata in una scala da 0 a 100, la creatività è risultata pari al 57,4% per le professioni intellettuali, al 38,9% per quelle delle vendite e dei servizi e del 36,1% per le professioni manuali. Più frequente la resilienza, ovvero la capacità di far fronte in maniera positiva ai traumi. Elasticità, creatività e resilienza - notano Istat e Isfol - sono «fattori di protezione» nei confronti della crisi: a mostrarne di più sono i ricercatori nell'ambito delle scienze mediche e i docenti universitari in scienze biologiche. Ma anche i vertici della polizia e delle forze di sicurezza.

Soddisfazione al top tra gli artigiani
Nonostante il calo di occupati, sono gli artigiani i più soddisfatti della propria attività, in particolare chi lavora il legno, le pelli e il cuoio. Gli stessi che ricevono un buon riconoscimento dei propri meriti (58,2 in una scala da 0 a 100 contro il 55,2 delle professioni a elevata specializzazione, penultime in graduatoria e seguite soltanto dagli operai non qualificati). I meno soddisfatti sono i telefonisti e gli addetti ai call center, che sono anche coloro che percepiscono maggiormente l'insicurezza del proprio lavoro. A differenza di universitari, magistrati, ambasciatori e forze dell'ordine: i più sicuri.

Cgia e Claai: quadro desolante, artigianato in affanno
Il ritratto di Istat e Isfol non sorprende le associazioni di categoria degli artigiani. «Tasse, burocrazia, credit crunch e crollo dei consumi interni sono le cause che hanno messo in affanno l'artigianato italiano», commenta Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre. «Un settore che oggi conta poco meno di 1,38 milioni di imprese attive che danno lavoro a circa 1,5 milioni di lavoratori dipendenti». Di quadro «desolante»parla Marco Accornero, segretario Claai: «La desertificazione dell'artigianato in Italia ha toccato livelli senza precedenti tra il 2008 e il 2012, ma l'emorragia di posti di lavoro tra dipendenti e titolari non accenna a placarsi dato che nel 2013, secondo i nostri dati, sono andati in fumo altri 43mila posti». Accornero invita il Governo a intervenire e precisa: la vera priorità non è il superamento dell'articolo 18 ma il taglio del peso del cuneo fiscale che grava sulle imprese.

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