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Questo articolo è stato pubblicato il 26 settembre 2014 alle ore 13:44.
L'ultima modifica è del 26 settembre 2014 alle ore 13:51.

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Gli indicatori e le individualità
Attraverso i dati Isfol Plus si sono calcolati 2 indicatori: il primo è oggettivo, l'indice di massa corporea (Imc), una misura internazionalmente usata per indicare la predisposizione a numerose patologie, consente di ricavare le persone sovrappeso; mentre il secondo è soggettivo, la condizione di salute auto-dichiarata, ovvero percepita dagli attuali occupati, da cui si ricavano le persone in cattiva salute. Se si confrontano le due dimensioni (figura 1) emerge l'inevitabile deterioramento delle condizioni di salute al passare del tempo, al netto del disagio psichico. Ma la riduzione di efficienza non è uniforme, in assenza di cambiamenti organizzativi avremo i laureati, le professioni elevate e i più ricchi (area tratteggiata) con una salute migliore rispetto agli altri. Le correlazioni sono in linea con aspettative e fisiologia ma fanno emergere una sorta di complesso di Peter Pan: gli uomini, pur essendo più in sovrappeso, si dichiarano meno in cattiva salute. Pragmaticamente, una approssimazione di ciò che si potrebbe fare con politiche di gestione continua della efficienza fisica e della sicurezza sul lavoro è data dalla freccia blu che dà la misura dell'efficienza fisica di “chi fa sport” rispetto a chi non lo fa, e dalla freccia verde che indica come l'ambiente lavorativo “non sicuro” comporti effettivamente una efficienza fisica inferiore.

Come cambia il lavoro
Non si pensi necessariamente alla fabbrica di tempi moderni, ad esempio il libro Get up (J. Levine, 2014) si riferisce ai danni causati dalla sedentarietà dovuta all'abuso da “poltrona d'ufficio”, correlata a 20 patologie croniche. Tutto lascia pensare ad un periodo di ritiro dalla vita attiva ridotto rispetto al passato. Tuttavia essendo frutto di scorie finanziarie (e non) arrivate dal passato, pare giusto controbilanciare i costi di queste riforme sanificatrici con più fasi ricreative e di riposo durante la vita attiva, intese sia come opere di compensazione che come necessaria manutenzione della forza lavoro. L'incertezza sui trattamenti previdenziali è implicita nei sistemi contributivi e sempre più presente nella vita (Stato Quantico, E. Mandrone, 2014). E' bene quindi contrastare l'illusione previdenziale, ovvero quella serie di luoghi comuni, opinioni infondate, calcoli erronei, informazioni inesatte che alimentano scenari ipotetici e aspettative surreali.

Soluzioni collettive
L'unica certezza è che siamo di fronte ad uno dei tanti punti di equilibrio di una traiettoria economico-previdenziale-demografica largamente ignota. Come direbbe Carofiglio, una mutevole verità. Molti studi affermano che la capacità di un individuo di gestire questioni così complesse è scarsa. Appare opportuna, quindi, una gestione collettiva di questi rischi. Le motivazioni sono le stesse dell'assicurazione pubblica (M. Draghi, 2010) e, come visto, non intervenire non è neutrale: farlo è a tutela dei più deboli (meno istruiti, più poveri, lavori generici). Anche se inviassero le buste arancioni con le informazioni pensionistiche.
Cosa farà in sala operatoria un ultra settantenne o un carpentiere 65enne sui tetti o un infermiere con l'artrosi o, semplicemente, una cassiera di 70 anni che sposta una tonnellata di prodotti al giorno? Ciò rappresenta un piano di rivendicazione sindacale nuovo, trasversale, positivo che, dopo aver indugiato a lungo sulle questioni del passato, riporta al presente il tempo delle relazioni industriali.

La prevenzione indispensabile
Pertanto sarà necessario – come la formazione continua per mantenere il capitale umano – prevedere una corretta ergonomia, più sicurezza sul lavoro, una dieta equilibrata, un'organizzazione del lavoro più favorevole, prevenzione e screening massivi, attività fisica specifica (buoni fitness?) e, in generale, uno stile di vita in grado di mantenere a lungo l'efficienza psicofisica dell'individuo, e di recuperarla dopo le malattie. Oltre il deficit pubblico, previdenziale, infrastrutturale, tecnologico, civico, linguistico, diamo il benvenuto al deficit prestazionale, l'ultima evoluzione della politica delatoria dei baby boom, allergici a pagare il conto. Un ripensamento del modo di stare al lavoro deve iniziare subito se si vuole essere credibili. Tutto ciò rappresenterebbe pure una politica industriale a tutti gli effetti poiché i suoi risultati si rifletteranno sulla produttività dei fattori futuri. Le politiche sociali, ancora una volta, registrano un doppio dividendo: sono eque ed efficienti, sono un investimento ad alta redditività e riattivano le dinamiche economiche (J. Stiglitz, 2008 o T. Piketty, 2013). Sensibilità rare in questa congiuntura disperata.

(*economista del lavoro e ricercatore Isfol)

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