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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 06:38.

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ROMA
Metti dieci Ceo mondiali di Big Pharma a Palazzo Chgi e un premier che li invita a puntare (e a investire) sull'Italia. E metti che Big Pharma risponda: lo stiamo già facendo, anche oltre le promesse fatte, «siamo pronti a dare ancora una mano». Prove tecniche di sintonia tra il Governo e le industrie farmaceutiche ieri a Roma. Con un incontro a sorpresa tra Matteo Renzi e le imprese del farmaco internazionali, comprese alcune italiane come Menarini e Chiesi, che già hanno base e forza in Italia. Un incontro che fa seguito a quello avvenuto nei mesi scorsi a Bari, quando il premier per la prima volta fece un esplicito endorsement pro industria farmaceutica, definendola strategica per lo sviluppo e invitandola a consolidare e ad allargare la propria presenza nel nostro Paese.
Ebbene, a qualche mese di distanza, il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, ha presentato a Renzi i primi risultati della promessa fatta a Bari: aveva annunciato 2mila posti di lavoro entro il 2015, Scaccabarozzi. Invece il traguardo è già oggi a quota 1.600 nuovi occupati under 30, che diventeranno 2mila a giugno del prossimo anno. Come dire che alla fine del 2015 potranno essere ben di più, anche escludendo i 5mila nuovi ingressi totali (non solo under 30 e anche per via del turn over con i pensionati) prevedibili alla fine del 2015.
«Sono felicemente sorpreso di aver sbagliato le previsioni – ha commentato il presidente di Farmindistria –. Questo Paese può tornare a crescere, solo così può uscire dalla crisi. Ho visto nel premier una grossa determinazione e noi siamo pronti a fare la nostra parte. Abbiamo le carte in regola per aiutare il Paese». Restano sul tavolo gli inviti di Renzi alle industrie a «investire in Italia, per voi è un'opportunità, il Paese sta cambiando», avrebbe chiosato il premier. Come interamente sul tappeto restano le richieste rilanciate dalle farmaceutiche al Governo: stabilità normativa e certezza di regole, un sistema regolatorio forte e solido, snellezza burocratica, una riforma dell'Aifa (Agenzia del farmaco) che la rende efficiente, che acceleri l'accesso dei prodotti ai mercati e le ispezioni.
Una nuova prospettiva italiana per il farmaco, insomma. Che per Big Pharma costituisce quasi una pre condizione per continuare a scommettere sull'Italia, o addirittura per arrivarci ex novo. Chissà. Certo è che la presenza a palazzo Chigi dei Ceo di Bayer, Bristol-Myers Squibb, Eli Lilly, GlaxoSmithKline, Johnson & Johnson, Merck Serono, Novartis e Roche, insieme a due delle italiane ben radicate all'estero, non è stato un evento di secondo piano. «Per la prima volta un primo ministro italiano incontra un gruppo di Ceo mondiali dello stesso settore, gliene va dato atto. Per noi questo è un segnale molto positivo e anche una dimostrazione di fiducia nel nostro Paese», ha commentato Scaccabarozzi. Ora, è chiaro, si attendono i fatti da parte del Governo. Chissà se già con la prossima legge di Stabilità. La presenza di altri ministri accanto a Renzi, – da Pier Carlo Padoan (Economia) a Beatrice Lorenzin (Salute) fino a Federica Guidi (Sviluppo) – è di sicuro un segnale in più di attenzione verso le industrie. La manovra 2015 potrebbe essere la prova della verità.
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