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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2014 alle ore 08:12.
L'ultima modifica è del 18 ottobre 2014 alle ore 09:06.

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PARIGI. Dal nostro inviato
«Esistono gli obiettivi dell'Unione europea su energia e cambiamenti climatici, ma non esiste una politica europea sull'energia. Le imprese però hanno bisogno di energia a prezzi sicuri e competitivi». Il nuovo presidente del Cefic (la confederazione europea delle industrie chimiche), il francese Jean Pierre Clamadieu (amministratore delegato di Solvay) che succede al tedesco Kurt Bock (amministratore delegato di Basf) mette la politica energetica al primo posto tra i compiti del suo mandato. «Il mix energetico deve includere tutte le nostre fonti, dalle rinnovabili al nucleare. E l'Europa deve considerare anche lo shale gas».
Il pressing delle imprese sull'energia, come è emerso ieri all'assemblea annuale del Cefic a Parigi, è forte come non mai perché sta diventando una delle cause della perdita di competitività del sistema europeo aggredito dai paesi emergenti e dagli Stati Uniti dove il costo dell'energia non rappresenta un problema.
L'andamento dei primi sette mesi di quest'anno ha costretto il Cefic a ritoccare al ribasso le previsioni di giugno sul 2014. Quest'anno non si chiuderà con una crescita della produzione (in volume) del 2% ma dell'1,5%. Con l'auspicio che questo lento ritmo di crescita possa essere mantenuto anche nel 2015.
Gli indicatori però non sono favorevoli e lasciano intravedere il rischio di un calo anche di questa previsione. Alcuni paesi in via di sviluppo stanno infatti rallentando. Se dalla Cina così come dall'India arrivano segnali di dinamismo non si può dire lo stesso di Russia e Brasile. Un fattore che è destinato a pesare sull'export extra Ue che è in calo di 1,9 miliardi nei primi sei mesi dell'anno. Nonostante questo, però, la bilancia commerciale europea del settore è ancora positiva per 22,5 miliardi.
La chimica europea sta perdendo terreno e oggi si trova in una posizione pressoché ribaltata rispetto alla Cina. Solo una decina di anni fa la quota di mercato della chimica europea era oltre il 30%, oggi è il 17%, quasi la metà, mentre gli ultimi dati sulla Cina dicono che è avanzata fino al 30,5 per cento. Ci sono molteplici ragioni che spiegano il declino, ma le principali risiedono nei prezzi dell'energia e delle materie prime. Oltre che nel pesante sistema regolatorio dell'Unione europea. Un tema molto sentito in Italia. Il presidente di Federchimica, Cesare Puccioni, osserva infatti che «la complessità normativa europea quando poi viene ripresa nei singoli stati rischia di appesantirsi ulteriormente come accade nel nostro Paese».
Per l'Italia il quadro economico non è molto diverso rispetto a quello europeo. E quindi crescono anche le aspettative sulla posizione che il premier Matteo Renzi assumerà la prossima settimana a Bruxelles al vertice dei primi ministri. Daniele Ferrari (Versalis-Eni), vicepresidente di Federchimica, auspica che «vengano portate all'attenzione del Consiglio europeo iniziative a sostegno delle nostre imprese». Con un'attenzione particolare alla chimica perché, continua Ferrari «il nostro settore è alla base di tutto il resto dell'industria. Se se ne va la chimica dall'Europa, se ne va l'industria».
A maggior ragione per questo le imprese in Italia sono preoccupate per «una certa politica di decarbonizzazione che rischia di produrre una deindustrializzazione. Crediamo che sia prioritario trovare un equilibrio tra competitività e sostenibilità», conclude Ferrari.
Cosimo Franco (Endura), che guida il programma di responsible care in Federchimica (il 21 ottobre a Roma sarà presentato il XX rapporto alla Camera), confida «nella capacità che ha il Cefic di dialogare a livello europeo, a maggior ragione per le Pmi».
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