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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 22 ottobre 2014 alle ore 10:15.

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ROMA
Nell'immaginario collettivo la chimica fa paura. Eppure proprio uno dei settori industriali più temuti dai luoghi comuni è al contrario uno dei più sicuri per la cittadinanza, per l'ambiente e per chi vi lavora. Non a caso dal 1990 le emissioni inquinanti in aria sono diminuite del 95% e sull'anidride carbonica - il gas accusato di cambiare il clima - le imprese chimiche con il -68% hanno già raggiunto, superato, doppiato e ridoppiato gli obiettivi europei che traguardano un obiettivo del -20% entro il 2020. Lo dice la XX edizione del rapporto ambientale annuale Responsible Care della Federchimica, presentato ieri, che analizza con accuratezza l'impatto ambientale delle maggiori 166 aziende chimiche presenti in Italia (su circa 2mila) che rappresentano più di metà del fatturato di un comparto da 52 miliardi di fatturato.
Certo, a ridurre l'impatto ambientale ha contribuito la crisi economica che ha fatto strage di ciminiere e di posti di lavoro, ma a parità di produzione la sostenibilità è cresciuta grazie a miglioramenti di processo e di prodotto. Per esempio i chimici e gli ingegneri hanno trovato come far diventare materie prime in nuovi cicli produttivi quei rifiuti che una volta andavano all'inceneritore (e nemmeno sempre).
«Ormai il rispetto dell'ambiente è una condizione essenziale per fare reddito, e chi non l'ha capito resterà fuori dal mercato», ha commentato Gian Luca Galletti, ministro dell'Ambiente, intervenuto alla presentazione del rapporto. «Infatti sostenibilità non significa solo ambiente - ha osservato il presidente della Federchimica, Cesare Puccioni - perché occorre tenere nella dovuta considerazione anche la dimensione economica, che favorisce sviluppo e crea lavoro, benessere e risorse per finanziare l'innovazione».
Il rapporto Responsible Care fa parte di un progetto internazionale al quale aderiscono in modo volontario aziende chimiche di tutti i Paesi; in base a questo progetto, le imprese si impegnano «a realizzare valori e comportamenti di eccellenza nelle aree della sicurezza, della salute e dell'ambiente». I dati perciò sono parziali, per la ristrettezza del campione, ma possono essere proiettati anche sulle imprese minori non censite, per le quali cambiano solamente le dimensioni ma non il linguaggio unvoco della scienza e la capacità di innovare.
Qualche altro dato dall'edizione italiana: dal 90 gli scarichi in acqua si sono ridotti del 65%, i consumi energetici del 38,2%. Per sicurezza, salute e ambiente le imprese chimiche dedicano ogni anno oltre il 2% del fatturato e realizzano investimenti pari a circa il 20% del totale investito.
Forse ai tempi del boom economico di mezzo secolo fa lavorare nell'industria chimica poteva comportare rischi per la salute, come hanno dimostrato le vicende dei grandi poli industriali come Marghera. Ma gli imprenditori - d'intesa con un sindacato tra i più evoluti - sono riusciti a individuare i pericoli e a stimolare gli investimenti che per l'Inail fanno della chimica l'industria con il minor numero di malattie professionali e il secondo segmento produttivo (alle spalle solo all'industria petrolifera) per il minor numero di infortuni rapportato alle ore lavorate dai dipendenti (e in gran parte incidenti avvenuti sul tragitto casa-lavoro). A titolo di confronto, nel manifatturiero il comparto di gran lunga più pericoloso per chi vi lavora è la naturalissima lavorazione del legno.
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