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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2014 alle ore 08:13.

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TARANTO.
L'Ilva rischia un nuovo stop per mano dei magistrati di Taranto. In una lettera che il gip Patrizia Todisco ha inviato alla Procura della Repubblica, si mette di nuovo sott'accusa l'azienda per l'inquinamento, le violazioni ambientali e il mancato rispetto delle prescrizioni dell'Aia. Toccherà ora alla Procura vagliarla e decidere di conseguenza, ma in ogni caso per il siderurgico, difatto mai uscito dalla bufera giudiziaria che lo ha travolto due anni fa, sembra profilarsi uno scenario pesante. Il gip è lo stesso che, a luglio 2012, ha firmato l'ordinanza di sequestro senza facoltà d'uso degli impianti dell'area a caldo e disposto l'arresto, tra domiciliari e carcere, di varie persone coinvolte nell'inchiesta tra proprietari dell'Ilva, dirigenti e politici. Tra questi Emilio Riva, il capostipite del gruppo che controlla l'Ilva, scomparso ad aprile scorso, e i figli Nicola e Fabio.
Alla Procura, adesso, il gip denuncia che «l'attività criminosa» del siderurgico – il riferimento è all'inquinamento – non si è interrotta e che vi sono «evidenti lesioni a salute e ambiente». Il gip documenta tutto con la relazione dei custodi giudiziari da lei nominati per la gestione del sequestro e periodicamente inviati nello stabilimento a controllare la situazione. Solo che se ieri le accuse dei custodi (Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento, ai quali ai aggiunge per gli aspetti amministrativi Mario Tagarelli) erano rivolte alla gestione Riva, adesso attaccano quella commissariale introdotta da una legge a metà 2013 e che ha visto alla guida dell'Ilva prima Enrico Bondi e ora Piero Gnudi. Non rispetto dell'Aia ed emissioni incontrollate con particolare riferimento ai fenomeni di "slopping" (nuvole rosse con polvere di ferro che si sollevano dalle acciaierie) sono tra i punti contestati.
Se ci fosse una stretta della Procura a seguito della mossa del gip, gli impianti dell'area a caldo potrebbero essere di nuovo sequestrati senza facoltà d'uso. Ma non sono nemmeno da escludere altre ripercussioni, egualmente pesanti. Oggi l'area a caldo dell'Ilva (parco minerali, agglomerato, cokerie, altiforni, acciaierie e gestione rottami ferrosi) è sì sequestrata (i Riva non hanno mai fatto ricorso in Cassazione) ma l'azienda può comunque usarla. La relativa facoltà è stata concessa dallo stesso gip dopo che il 9 aprile 2013 la Corte Costituzionale - bocciando tutte le eccezioni di incostituzionalità sollevate dai magistrati di Taranto - ha approvato la legge 231 del 2012 che consente all'azienda di produrre ma a patto che bonifichi gli impianti applicando le prescrizioni dell'Aia. Obblighi e tempi, secondo i custodi e il gip, sono saltati. Va detto però che l'Aia rilasciata ad ottobre 2012 dal ministero dell'Ambiente prevedeva una tempistica che poi altre due leggi, nel 2013 e nel 2014, hanno aggiornato rimandandola al piano ambientale, operativo da poco prima dell'estate con un Dpcm. Oggi questo piano dispone che l'80% delle prescrizioni sia ottemperato entro luglio 2015 e che tutto si concluda ad agosto 2016. Nei giorni scorsi, parlando in commissione Industria al Senato e poi scrivendolo nella prima relazione di gestione, il commissario Gnudi ha detto che il 75% delle prescrizioni Aia è stato già rispettato dall'Ilva e che, tra impegni e spesa effettiva, l'azienda ha impiegato 583 milioni di euro (sono contabilizzati anche quelli della gestione Bondi). I numeri di Gnudi sono stati però contestati da uno dei custodi (Barbara Valenzano) in un dibattito a Taranto, dalla Fiom Cgil e dall'ala più radicale del movimento ambientalista.
Preoccupazione per quello che potrebbe accadere viene manifestata dagli ambienti industriali anche perchè l'Ilva è in uno snodo delicatissimo tra attesa delle decisioni del gip di Milano, Fabrizio D'Arcangelo, sui soldi sequestrati ai Riva, rischio di amministrazione straordinaria in base alla legge Marzano, e difficoltà nella trattativa con i potenziali acquirenti (Arcelor Mittal con Marcegaglia, gli indiani di Jindal e Arvedi con i brasiliani), verso i quali l'aggrovigliarsi dei nodi giudiziari rischia di avere un effetto deterrente. «Non comprendo la lettera del gip di Taranto - dice il direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato -. Le emissioni che provocano danni alla salute sono Pm10 e benzoapirene e oggi questi inquinanti si sono drasticamente ridotti. È avvenuto per la fermata di una serie di impianti, certo, e noi adesso valuteremo il rischio sanitario residuo, ma la realtà è questa. Slopping e ritardi dell'Aia sono altro. La soluzione del caso Ilva è già difficilissima ma così la si fa diventare impossibile». «La vedo male – commenta Marco Bentivogli, segretario nazionale Fim Cisl –. Siamo su un crinale pericoloso che a breve può far saltare gli stipendi a novembre perchè l'azienda è senza soldi e tra un pò rischia di portare alla chiusura dello stabilimento. Il gip? Sa che anche il nuovo cronoprogramma Aia rischia di saltare e quindi prepara il campo. Se ne renda conto Palazzo Chigi: l'Ilva sta affondando».
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