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Questo articolo è stato pubblicato il 29 ottobre 2014 alle ore 17:10.
L'ultima modifica è del 29 ottobre 2014 alle ore 18:10.

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Un quinto delle pmi che nel 2007 risultavano attive oggi è fuori mercato. Le sopravvissute hanno perso 31 punti percentuali di mol e più che dimezzato il roe, passato dal 13,9% a 5,6 punti percentuali. Le loro sofferenze bancarie hanno toccato un massimo del 2,9% nel 2013 e sono attese addirittura oltre il 3% nel triennio 2014-2016. Quanto al futuro, ricavi e margini dovrebbero tornare a crescere nel prossimo biennio, ma a ritmi molto lenti: il mol del 2016 è dato infatti al -25% rispetto ai livelli pre-crisi.

Un quadro tutt'altro che roseo quello che emerge dal primo «Rapporto Pmi» che Cerved, gruppo italiano specializzato nell'analisi del rischio del credito, ha presentato ieri a Milano durante il convegno «Osservitalia». Il focus si è concentrato su «circa 144mila società - commenta Gianandrea De Bernardis, ad di Cerved - che nel complesso generano un giro di affari di 851 miliardi, un valore aggiunto di 183 miliardi pari al 12% del Pil, e che hanno contratto debiti finanziari per 271 miliardi». Dal report emerge che la crisi economica che l'Italia sta attraversando è stata accompagnata da un rallentamento e poi da una contrazione del credito bancario: i debiti finanziari delle pmi si sono ridotti tra il 2011 e il 2013 di 4,1 punti percentuali, mentre per le grandi società sono aumentati nel 2012, diminuendo solo marginalmente nel 2013 (-0,9%).

La restrizione del credito non ha riguardato in modo omogeneo tutte le pmi: spinte anche dalle regole di Basilea, tra il 2008 e 2013, le banche hanno selezionato con maggiore attenzione la clientela, riducendo i finanziamenti alle realtà più rischiose e continuando a erogare prestiti a quelle più affidabili. Da qui un vero e proprio bollettino di guerra: dal 2008 ne sono fallite 13mila piccole e medie imprese, più di 5mila hanno avviato una procedura concorsuale non fallimentare e 23mila sono state liquidate volontariamente. Nel complesso, un quinto dei soggetti attivi nel 2007 è stato interessato da almeno una di queste procedure. Le pmi sopravvissute hanno pesantemente sofferto la caduta della domanda e sono caratterizzate da condizioni reddituali precarie. Con fatturato e valore aggiunto in calo, i margini lordi si sono contratti di 31 punti percentuali tra 2007 e 2013. Il numero di società che hanno chiuso l'esercizio in perdita è ai massimi e la redditività netta si è più che dimezzata, passando dal 13,9% al 5,6%: pesano soprattutto l'aumentato costo del lavoro e il calo della produttività. In base al quadro macroeconomico elaborato da Cerved che incorpora un'ulteriore caduta del Pil dello 0,3% nell'anno in corso e una moderata ripresa nel biennio successivo, le pmi torneranno ad accrescere ricavi e valore aggiunto nel 2015-16, ma con una dinamica ancora molto contenuta. I margini operativi lordi sono previsti in lieve miglioramento, attestandosi alla fine dell'esercizio di previsione a un livello di 25 punti percentuali inferiore rispetto a quello del 2007. «Solo un miglioramento del quadro macroeconomico, caratterizzato dalla ripresa della domanda interna e dal superamento del credit crunch - prosegue De Bernardis -, potrebbe far ripartire il sistema. Se ciò avvenisse, esiste un nutrito gruppo di pmi con bilanci solidi, pronte a investire». Un ultimo spaccato riguarda il ricorso ai cosiddetti minibond, mercato sul quale finora le piccole e medie imprese italiane hanno giocato un ruolo marginale: gli strumenti in questione hanno mobilitato complessivi 4,2 miliardi, di cui solo 226 milioni da parte di 29 pmi. Eppure esiste un potenziale stimato di 2.500 emittenti.

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