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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2014 alle ore 07:33.

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ROMA
«Chi vuole i nostri contenuti gratuiti dovrà pagare un fee per la loro ritrasmissione». Gina Nieri, consigliere di amministrazione di Mediaset, lancia una vera e propria "dichiarazione di guerra" a Sky. L'occasione è il convegno "La svolta digitale", imperniato sull'analoga ricerca di ITMedia Consulting. «Vi è uno stato di emergenza a livello europeo – sottolinea Nieri –. Non possiamo affrontare il futuro con queste regole. Vanno riviste le direttive con principi validi per tutti, compresi gli over-the-top statunitensi. Per noi, Google-You Tube è un editore: raccoglie pubblicità su contenuti video, vende contatti».
Antonio Martusciello, commissario Agcom, insiste «sul l'asimmetria regolamentare tra le tv lineare, con i loro obblighi su pubblicità, tutela dei minori, quote di programmazione e investimento e i servizi non lineari. Bisogna rivedere la perimetrazione del mercato: ha senso la separazione tra tv gratuita e pay tv? In quale mercato opera Netflix?». Accenti in qualche caso differenti dall'Agcom da parte di Salvatore Rebecchini dell'Antitrust, «che non tutela le imprese quanto il meccanismo concorrenziale in cui operano. Una concentrazione verticale può essere accettabile: migliora l'efficienza produttiva anche a vantaggio del consumatore, ma occorre valutare i rischi concorrenziali». L'Antitrust lancia un monito sull'uso di soldi pubblici per la realizzazione delle infrastrutture di rete: «Occorre cautela per evitare un uso distorsivo di tali risorse. Occorre una gara per assegnarle, evitando quanto successo in Trentino, con l'affidamento della rete ad un socio privato senza procedura competitiva», aggiunge Rebecchini.
Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai, rivela l'interesse della concessionaria pubblica per il video-on-demand: «Siamo interessati a fare una piattaforma ad hoc, ma scontiamo i limiti della regolazione: per acquisirne una dovremmo fare una gara e non un accordo. Le regole non permettono di essere veloci come richiedono i mercati. Siamo comunque interessati a forme di partnership con altri operatori».
Stefano Ciullo, direttore Affari Istituzionali di Sky Italia definisce «del tutto infondata» l'ipotesi di un trasferimento della pay tv dal satellite al digitale terrestre. «Stiamo ragionando solo sulle news e soddisfatti delle performance di Cielo nel digitale terrestre». Il gruppo punta a trasmettere SkyTg24 in chiaro, a patto di trovare una posizione adeguata sul telecomando. «Sky è nata come pay satellitare e sta diventando una media company multipiattaforma. Abbiamo un accordo con Telecom per un servizio, che partirà a inizio 2015, rivolto alle abitazioni senza parabola». Sky nega trattamenti di favore: «Abbiamo limiti di affollamento più restrittivi degli operatori terrestri». Nello scenario italiano, operatori multinazionali come Viacom e Discovery conquistano audience puntando su prodotti adatti a determinati pubblici, anche con la collaborazione attiva degli inserzionisti.
Per Antonello Giacomelli, viceministro delle Comunicazioni, «le istituzioni fanno fatica ad uscire da una dimensione nazionale. L'Europa? Dev'essere soggetto, non solo mercato unico per prodotti altrui. Nella Rete, la priorità è l'interesse del consumatore rispetto a quello dei gruppi : l'Europa deve trattare con gli Stati Uniti sulla governance del Web. Occorre poi una revisione, non una semplice "ripulitura", della Direttiva europea sui servizi media».
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IL MERCATO DIGITALE

Le dimensioni
Nei 27 Paesi europei il mercato televisivo vale 95,5 miliardi di euro nel 2013, con una crescita dello 0,4% sul 2012.
La pay tv è il driver
La tv a pagamento vale il 45% delle risorse rispetto al 33% della pubblicità.
La carica del multichannel
Rispetto ai canali generalisti, i nuovi canali digitali, compresi quelli pay, rappresentano il 58% del mercato.
Nuove abitudini
In Gran Bretagna il 40% degli internauti guarda programmi tv online.

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