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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2014 alle ore 09:19.

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Pasticcio super-accise sulla birra e sui vini liquorosi. Le filiere della birra e del vino dicono “no” all'ennesimo inasprimento delle accise (dal prossimo 1° gennaio) in 15 mesi e chiedono al Governo Renzi di intervenire. Si rischia, dicono i produttori, di comprimere ulteriormente i consumi e creare oltre 9mila esuberi.

Intanto da luglio a settembre le vendite di birra sono scese del 26%. Un calo questo, secondo quanto riportato da uno studio di Ref Ricerche per AssoBirra, dovuto al peso delle accise, aumentate in base a una decisione del Governo Letta, e in un mercato che non cresce da 10 anni. «La preoccupazione – sostiene il presidente di Confagricoltura Mario Guidi, in una tavola rotonda organizzata da Assobirra – non riguarda soltanto le ripercussioni sulla produzione industriale, sull'occupazione e sull'indotto, ma anche i riflessi sull'attività dei microbirrifici, molti dei quali rappresentano un'attività d'impresa derivata e partecipata dagli stessi agricoltori. E, non da ultimo, l'impatto negativo sul collocamento dell'orzo prodotto dai nostri associati». Il settore birrario vale 3,2 miliardi, garantisce 136mila posti di lavoro e conta oltre 200mila imprese. Secondo lo studio, se le accise italiane a gennaio anziché aumentare si attestassero sui livelli di Germania e Spagna, il settore sarebbe in grado di generare 20 posti di lavoro al giorno e 7mila in un anno.

La birra pesa in maniera rilevante sul fatturato dei pubblici esercizi: secondo dati Fipe-Confcommercio in media il 12% degli incassi vengono garantiti da questa bevanda, ma si arriva anche al 20% per i bar serali e addirittura al 43% per i bar-birrerie.
«Se il 1° gennaio 2015 – sottolinea Alberto Frausin, presidente di Assobirra – venisse bloccato l'aumento delle accise, o meglio ancora portato al livello di tassazione della birra di altri Paesi europei come la Germania (4 volte inferiori alle nostre) o la Spagna (3 volte inferiori alle nostre), saremmo in grado di generare 5mila nuovi posti di lavoro, ai quali si andrebbero a sommare quelli che non verrebbero persi, circa 2.400, a causa dell'aumento delle accise di questi mesi».

Per Federvini, il quarto aumento delle accise sugli spiriti, in programma per il prossimo gennaio, avrà l'effetto di deprimere del 9,4% i consumi, creare 6.700 esuberi e ridurre il gettito fiscale di quasi 3 milioni (lo studio è di Trade Lab). A meno di due mesi dall'aumento si muove qualcosa? «Abbiamo la comprensione di vari politici – sottolinea Sandro Boscaini, presidente di Federvini – Concordano che si tratti di un errore. E ci rimandano al Governo. Ci sarebbe quindi un problema di incardinamento verso Bruxelles del nuovo provvedimento rispetto a una legge operante e approvata dalla Commissione. Ma se si vuole davvero il provvedimento si può adottare».

«Quello italiano – interviene Donal Murphy, ad di Diageo Italia – rappresenta il più importante aumento percentuale delle accise sull'alcol da 20 anni a questa parte in Europa, secondo solo a quello della Grecia del 2009. Un aumento di tale portata comporterà per alcune categorie di spirits, come il brandy o la grappa, un'erosione di marginalità superiore al 60% del prezzo del prodotto. Stimiamo impatti occupazionali per migliaia di persone nella filiera allargata dell'alcol beverage. E alla fine gli aumenti produrranno poche decine di milioni di euro addizionali da gettito d'accisa mentre il saldo fiscale complessivo, derivante dai minori introiti del reddito d'impresa e del lavoro, farà addirittura registrare un valore negativo».

Poi Murphy conclude: «Leggo che il Governo italiano miri ad attrarre investimenti dall'estero: ebbene il primo passo in questa direzione consisterebbe proprio nella cancellazione dell'aumento delle accise a gennaio».

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