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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2014 alle ore 06:38.

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La legge di stabilità è «troppo timida» sia nei tagli di spesa che nella riduzione tasse. Ma soprattutto nasconde una bomba a orologeria che se non venisse disinnescata condannerebbe il Paese ad altri anni di recessione. Se scattasse la famigerata clausola di salvaguardia, nata per garantire le coperture e rassicurare Bruxelles, gli aumenti Iva previsti dalla legge di stabilità nel triennio 2016-2018 stritolerebbero definitivamente i consumi delle famiglie italiane di ben 65 miliardi. La stima arriva da uno studio di Confcommercio presentato ieri all'apertura a Roma del settimo forum nazionale dei giovani imprenditori dell'associazione.
Come noto, nell'ultima manovra, come in quella dell'anno scorso, si vincola l'obiettivo di medio-lungo termine del pareggio di bilancio a una clausola di salvaguardia. Se le misure messe in campo, a cominciare dalla spending review, non centrassero l'obiettivo la clausola prevede un aumento delle aliquote Iva che nel triennio schizzerebbero in su dal 10 al 13% e dal 22 al 25,5%. L'effetto – secondo Confcommercio – sarebbe esplosivo: «Si avranno complessivamente 65 miliardi in meno di consumi da parte delle famiglie e una crescita dei prezzi nel 2018 rispetto al 2015 del 2,5%».
Ma anche se si evitassero queste "trappole" in ogni caso la manovra secondo Confcommercio resta comunque troppo timida: il suo impatto espansivo è «limitato a meno di sei miliardi» per di più in deficit. All'orizzonte dunque non si profila nessuno «choc positivo». E così le aspettative sul Pil per il 2015 sono «per un risultato modesto» (+0,6%) Da qui l'invito al premier Renzi del presidente dei giovani imprenditori di Confcommercio Alessandro Micheli ad avere «più coraggio e determinazione nel rispondere alle emergenze economiche del Paese, a spingere sull'innovazione, e a non mollare sulle riforme». Per Micheli – che ricorda come sia stato svuotato «per l'ennesima volta» anche il fondo taglia tasse – bisogna puntare i radar sempre più verso le imprese dei servizi di mercato che tra Pil e occupazione stanno facendo cambiare pelle all'economia che è sempre più «terziarizzata».
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