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Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2014 alle ore 06:39.

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MILANO.
A Parma nella centralissima Strada Farini, il salotto buono della città emiliana, la trattoria Sorelle Picchi, famosa per i suo tortelli, è un punto di riferimento. Il destino di quello storico locale, oggi unificato all'adiacente gastronomia Rosi, da ieri è appeso a quello del suo proprietario, Marco Rosi. Il celebre Parmacotto, l'azienda di Rosi e nota marca di insaccati, è finito in concordato preventivo. Sull'orlo del dissesto.
È un amaro epilogo quello di Parmacotto, uno dei marchi simbolo dell'alimentare e di quella che in Emilia chiamano orgogliosamente Food Valley. Un brutto colpo anche per la città dei tortellini, ancora scossa dal crack della Parmalat di Calisto Tanzi (14 miliardi di euro) che a 14 anni di distanza continua a emanare scosse (si veda Il Sole 24 Ore del 9 novembre) e poi finita nella bufera con l'arresto dell'ex sindaco Vignali. Per il patron Rosi ex presindete degli industriali (come lo era stato anche Tanzi, ancora analogie), uno dei personaggi chiave della città, si vocifera di dimissioni. I parallelismi con Parmalat, peraltro, non finiscono qui: perché a prendere le redini di Parmacotto, come commissario giudiziale, potrebbbe essere quell'Alberto Guiotto, che era stato incaricato dal Tribunale di Parma come curatore speciale nella spinosa vicenda di Lag-Parmalat (la contestata operazione "incestuosa" tra il gruppo di Collecchio e la sorellastra americana, entrambe di proprietà del colosso francese Lactalis). Ieri sera le voci per le vie del centro davano proprio il commercialista più in vista a Parma come il probabile candidato per un ruolo così delicato.
Parmacotto, nata nel 1978 e divenuta celebre negli anni '80 grazie a famosi spot televisivi con Sophia Loren, aveva pure lanciato la gastronomia italiana a New York, con due ristoranti: Salumeria Rosi, aperta a Manhattan (assieme allo chef Cesare Casella e ideato dallo scenografo premio Oscar Dante Ferretti) aveva "raddoppiato" non più di due anni fa. Il brusco risveglio, invece, due giorni fa: il 10 novembre presso lo studio del notaio Giovanni Fontanabona, come rivelano documenti che Il Sole 24 Ore ha potuto visionare, si è tenuto un consiglio di amministrazione dove lo stesso Rosi, di fronte alla crisi dell'azienda, si è visto costretto a chiedere il concordato preventivo. La procedura serve a evitare il crack e permette di congelare il debito per cercare un accordo coi creditori che metta in sicurezza l'azienda ed eviti il fallimento. Magari con un «cavaliere bianco». In alternativa, Parmacotto punta a un ricorso alla legge fallimentare (la cosiddetta 182 bis) per cercare di ristrutturare i debiti.
Il dissesto ha attirato i concorrenti che ora gongolano davanti all'idea di mettere le mani sopra uno dei marchi più blasonati dell'industria alimentare: alla porta di Parmacotto avrebbero bussato l'emiliana Santino Levoni, che peraltro è anche creditore di Parmacotto; e la romagnola Amadori, altro big nazionale, del «re dei polli» di Cesena Francesco Amadori.
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