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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2014 alle ore 06:40.

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TRIESTE
Rafforzare la partnership pubblico-privata, tagliare la burocrazia, spingere sulla logica di rete per far decollare il settore dei farmaci biotecnologici.
L'invito è stato formulato ieri all'università di Trieste nel corso dell'incontro organizzato da Farmindustria "Biotech e farmaco: nuove possibilità di cura, un'opportunità per il Paese", una location non casuale se solo si pensa che il capoluogo del Friuli Venezia Giulia può contare su un'area di ricerca scientifica e tecnologica all'avanguardia, con 83 realtà, fra cui 21 centri di ricerca.
Nella tavola rotonda a cui hanno partecipato, fra gli altri, Eugenio Aringhieri, presidente del Gruppo Biotecnologie di Farmindustria, Diego Bravar di Confindustria Fvg e Adriano De Maio, presidente di Area Science Park Trieste, sono state evidenziate le potenzialità di un comparto come quello biotech, già molto dinamico e altamente tecnologico, forte di 176 imprese sul territorio nazionale con quasi 5mila addetti, capace di realizzare un fatturato annuo di 6 miliardi e di investire annualmente oltre 1,1 miliardi in ricerca e sviluppo. Un comparto destinato, in prospettiva, a incidere sempre più anche sulla quota di export mondiale dell'industria farmaceutica nazionale (+1,1% nel quadriennio 2010-13 contro il -02% del totale Italia) se solo si pensa che già ora il 40% dei farmaci di nuova registrazione è di origine biotecnologica e che questa percentuale è destinata a crescere in futuro fino al 70 per cento. «Il biotech – ha sottolineato Aringhieri – rappresenta una grande opportunità per l'Italia dal punto di vista sociale, sanitario e occupazionale. Grazie a 403 farmaci in sviluppo il nostro Paese può, infatti, giocare un ruolo da protagonista in questa partita: basti pensare che finora, grazie all'industria farmaceutica, si è guadagnato un mese di vita ogni quattro a partire dal 1951».
Per far compiere al settore un definitivo salto di qualità occorrerà, tuttavia, intervenire su una serie di criticità, alcune – come la cronica instabilità del quadro normativo e la gestione della Sanità con 21 sistemi diversi – figlie del nostro sistema Paese, altre – la valorizzazione del ruolo industriale della farmaceutica in Italia e il rafforzamento della partneship fra pubblico e privato nella R&S – che chiamano in causa più attori. Su questo secondo fronte, in particolare, le industrie sono pronte a fare la loro parte. «Il valore del network, la capacità di fare rete – ha evidenziato ancora Aringhieri – è fondamentale e noi tutti dobbiamo superare questa cronica incapacità di fare squadra. Detto questo, ciò che chiediamo al pubblico non è solo o tanto un supporto di tipo finanziario in un settore in cui i tempi d'investimento sono almeno decennali, ma di spingere sulla leva del technology transfer, creando le condizioni affinchè chi fa ricerca, l'ateneo, sia in grado di comprendere le esigenze del mercato e possa meglio rapportarsi con l'impresa».
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