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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 08:48.

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Reggio Emilia – Per la meccatronica made in Italy il futuro è nell'integrazione e nello scambio di idee, esperienze e progetti di ricerca. Scambio tra imprese e poi tra imprese, istituzioni e università.
A Reggio Emilia, con il primo incontro tra i rappresentanti di otto tra poli e distretti italiani della meccatronica, uno dei gioielli della meccanica italiana – nella provincia che vanta la più grande tradizione in questo settore pilastro della manifattura del Paese – mostra tutta la sua forza e contemporaneamente la determinazione a rimanere alla guida dello sviluppo di interi settori produttivi, mettendo a disposizione beni e tecnologie.

Nel tecnopolo di Reggio Emilia, con un evento promosso dall'associazione degli industriali reggiani in occasione dell'ottava edizione del Premio italiano meccatronica, i numeri danno la misura del peso del settore. Con 400 miliardi di euro di fatturato, 190 dei quali generati dalla domanda estera, la meccanica italiana si conferma la più competitiva, seconda solo a quella tedesca. E in questo scenario la meccatronica si ritaglia un ruolo da protagonista della crescita, come dimostra il caso reggiano.

E' stato soprattutto grazie alle sue quasi 3mila imprese metalmeccaniche – 2,68 miliardi di euro di esportazioni, in aumento nei primi sei mesi dell'anno di quasi il 5% - che la provincia emiliana è riuscita ad alzare una barriera contro la crisi, mantenendo la disoccupazione al 6% (contro il 12 della media nazionale). E gran parte del merito va al distretto della meccatronica - 300 imprese, 6 miliardi di fatturato, 28mila addetti -, uno dei cluster chiave di quella rete che va da Torino a Bari e che coinvolge 600 aziende, dieci atenei, centri di ricerca, scuole.

Ma come tutte le innovazioni tecnologiche anche la meccatronica, avverte Giannicola Albarelli, presidente di Club Meccatronica, “impone nuove sfide: nell'ambito della produzione, perché l'integrazione tra meccanica ed elettronica richiede ma anche condizioni culturali e ambientali che oggi non sono ancora così diffuse nelle imprese, soprattutto, in quelle di piccole dimensioni; in quello della qualità e all'affidabilità perché l'impiego di sistemi complessi in condizioni di lavoro molto spesso estreme, è tutt'altro che un dato acquisito e di facile realizzazione”.

Tanto che il settore, secondo gli industriali, richiede anche ridefinizione dello stesso concetto di qualità. Anche nella città emiliana la sfida riguarda la ricerca e il trasferimento tecnologico alle imprese, con il Tecnopolo e la rete di relazioni di Reggio Emilia Innovazione. “L'obiettivo – dice Luca Bergonzini, presidente del gruppo metalmeccanico di Unindustria di Reggio Emilia - è quello di dar vita a un centro di trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie, funzionale alle quattro piattaforme produttive individuate dalla Regione Emilia-Romagna e presenti localmente: meccanica, agroindustria, energia e costruzioni”. Un centro al servizio, prima di tutto, delle piccole e medie imprese, svantaggiate nell'accesso alla ricerca e allo sviluppo.

E se molto è stato fatto, “dobbiamo riconoscere – dice Mauro Severi, presidente degli industriali reggiani - che siamo solo alla prima imbastitura di quello che negli anni a venire deve diventare un grande progetto territoriale dedicato all'innovazione”. Ma un altro esempio arriva dal Mesap di Torino, uno dei dodici poli istituiti dalla Regione Piemonte. “Negli ultimi cinque anni – spiega Mauro Zangola, responsabile del programma del Mesap – abbiamo realizzato 40 progetti di ricerca, alcuni già ultimati. Per i prossimi anni abbiamo individuato alcune priorità che discuteremo con le aziende per convogliare su di esse quote significative delle risorse europee”.

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