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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 06:39.

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TORINO
Sono in trincea da anni. Ma invece di restare a casa a piangere le loro disgrazie, si sono uniti in associazione, hanno seguito passo passo le fasi dei processi, a Torino. Ieri erano a Roma, in Cassazione. Le famiglie dei malati e dei morti per l'amianto la descrivono come una scelta dolorosa. Ma spesso necessaria.
In questi anni sono almeno in mille e cinquecento ad aver accettato una transazione con Stephan Schmidheiny. Una scelta dolorosa, anche perché ha significato per loro rinunciare ad ogni ulteriore azione contro Eternit e i suoi vertici.
«Ci chiamano in lacrime – raccontano dall'associazione – per dirci che ci stanno pensando, che scelgono la strada dell'accordo e si sfilano dalle azioni legali. Spesso sono vedove, alle prese con la perdita di affetti cari e con i figli da mandare avanti». Sono più di 50 i morti per l'amianto ogni anno soltanto nella zona di Casale Monferrato, quella dove il "polverino", la forma più aggressiva e pericolosa di amianto, si prendeva direttamente dalla fabbrica per impiegarlo nell'edilizia.
Nessuno dell'Afeva si permette di puntare il dito contro chi sceglie di arrivare ad un accordo. In questa vicenda gli schemi, rigidi, saltano. Non ci sono "venduti", non ci sono "approfittatori". Solo vittime.
La vicenda dei risarcimenti va però raccontata anche dal punto di vista di chi, Schmidheiny, ha assunto una responsabilità "con spirito filantropico", come si spiega su Internet, in un sito costruito per raccogliere le richieste. «Nel 2008, Becon AG ha formulato un'offerta di indennizzo, motivata da principi umanitari, in favore degli ex dipendenti di Eternit Italia e dei residenti di Casale Monferrato che sono stati esposti all'amianto nel "periodo svizzero"», cioé dal 1973 alla fine degli anni Ottanta. «L'offerta di indennizzo nasce dalle convinzioni filantropiche di Stephan Schmidheiny ed è espressione del sentimento di solidarietà nei confronti delle vittime dell'amianto».
Il piano giuridico resta un'altra cosa. Lì i risarcimenti stabiliti dai giudici, in primo grado e in appello, erano finora rimasti sulla carta, alle prese con le difficoltà di intraprendere una causa risarcitoria internazionale. E da ieri sono lettera morta.
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