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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2014 alle ore 06:39.

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Potrebbero essere sbagliati i dati catastrofici sull'inquinamento di Savona in base ai quali in marzo è stata sequestrata, ed è ancora chiusa, la centrale elettrica a carbone della Tirreno Power a Vado Ligure (Savona).
In primavera molti giornali avevano riportato con titoli di forte effetto la strage di savonesi prodotta dai fumi inquinanti della centrale. Sulla base di una perizia ordinata dalla Procura di Savona, si disse che senza la centrale non sarebbero morte 400 persone dal 2000 al 2007, si sarebbero evitati tra i 1.700 e i 200 ricoveri di adulti e di 450 bambini tra il 2005 e il 2012. Insomma, nella città con una delle arie più fini e salubri d'Italia (rapporto Mal'aria Legambiente 2013) gli abitanti cadrebbero a terra stecchiti per i fumi carboniosi della centrale elettrica.
La centrale, ovviamente, inquina in modo considerevole. Anzi, inquinava; finché non è stata sequestrata dalla Procura in marzo sulla base di quello studio.
I fumi della ciminiera di altezza vertiginosa non erano una manosanta per i polmoni dei savonesi, giustamente infastiditi.
La legge europea dice che ogni giorno un metro cubo d'aria respirata non deve contenere più di 125 microgrammi di ossidi di zolfo e l'allarme scatta a 500 microgrammi. Quanto inquinava la centrale? Il massimo giornaliero raggiunto dall'aria di Savona (dati Arpal 2012) era tra 15 e i 19 microgrammi con una media di 5 microgrammi per metro cubo d'aria.
Da quando la centrale della Tirreno Power è stata spenta la qualità dell'aria non è cambiata perché è irrilevante. Lo afferma addirittura la perizia della procura che parla dei 400 morti stecchiti da inquinamento: la centrale sporca l'aria con ossidi di zolfo al massimo fra gli 0,74 e i 3 microgrammi (pagina 6 decreto di sequestro).
Molti studi frenano sul catastrofismo. Una ricerca epidemiologica dell'Istituto dei tumori di Genova («Mortalità in Provincia di Savona 1999–2004») afferma che vanno approfonditi una «eventuale contaminazione di pozzi per approvvigionamento idrico», sulle «coltivazioni agricole», sugli «insediamenti industriali di lavorazione petrolchimica». La centrale, come non esistesse.
Ma nel merito della ricerca che parla di strage emergono alcuni documenti.
Il 9 luglio l'unità di epidemiologia clinica dell'Istituto dei tumore di Genova in 5 pagine e 14 punti massacra lo studio della magistratura locale: «I metodi di lavoro sono descritti in maniera insufficiente», «non fa alcun riferimento ai limiti dell'indagine», l'esposizione «è misurata solo in termini di intensità e non di durata». E così via. E quando i dati smentiscono la perizia della Procura, «non viene dato spazio» .
Non basta. A fine gennaio 2014 l'Istituto superiore di sanità con una lettera riservata (dopo avere apprezzato lo studio dell'accusa, impegnativo e ambizioso che «propone una metodologia inusuale») in 10 punti al vetriolo dice che il documento della Procura «non è redatto in modo chiaro ed esauriente», la documentazione «non identifica le fonti di pressione ambientale», le stime sono «un surrogato della stima dell'esposizione inalatoria». Dopo quattro pagine di sciabolate, l'analisi dell'Iss conclude che «naturalmente è possibile che per alcuni dei punti qui menzionati gli autorit abbiano ottimi elementi a supporto». Naturalmente è possibile.
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