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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2014 alle ore 15:29.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2014 alle ore 15:46.

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Le barriere artificiali sommerse, costruite per le operazioni di messa in sicurezza e rimozione di Costa Concordia, potrebbero diventare una risorsa per il Giglio e aiutare la ricrescita dell’habitat marino nella zona del naufragio. Occorre valutare, quindi, se rimuovere quelle strutture oppure lasciarle lì, come vorrebbe la popolazione dell’isola toscana. Per vagliare con attenzione i pro e contro, sono riuniti oggi, all’Acquario di Genova, un gruppo di esperti, scienziati e tecnici per un confronto al quale partecipa anche il sindaco del Giglio, Sergio Ortelli.

Il meeting, promosso dall’Accademia internazionale di scienze e tecniche subacquee, diretta da Paolo Ferraro, intende valutare l’opzione messa in campo dal Comune del Giglio, che ipotizza di non smantellare le strutture subacquee realizzate per la Concordia. Un’opzione alla quale si contrappone la posizione del ministero dell’Ambiente, che ha richiesto la totale rimozione di queste strutture e il ripristino dei fondali, in base all’accordo stipulato tra Costa Crociere, società assicuratrici, ministero e Conferenza dei Servizi Stato-Regione (la quale ha preso posizione due volte sull’argomento: il 15 maggio 2012 e il 25 giugno 2014, confermando, in entrambe, l'indirizzo alla rimozione).
Sul fondo del Giglio, a una profondità di circa 30 metri, si trovano attualmente sei piattaforme di acciaio e cemento e 11 anchor block realizzati per ancorare la nave al fondale.

«All’inizio – afferma Ortelli – c’è stata una perplessità generale, da parte delle istituzioni, rispetto al possibile mantenimento delle strutture sul fondo. Poi la comunità del Giglio si è espressa a favore del mantenimento. D’altro canto, la politica, che io rappresento, può fare solo un’analisi socio-economica dei possibili risvolti della questione. Se la comunità scientifica ci dice che lasciare le infrastrutture sommerse può essere un volano per il turismo e ricreare un habitat, mentre rimuoverle può portare un ulteriore danno ambientale, noi guardiamo con favore alla possibilità di mantenere le piattaforme in acqua. Tuttavia bisogna tener conto del fatto che il ministero dell’Ambiente, in sede di Conferenza dei servizi si è espresso due volte per la rimozione. Inoltre c’è un giudizio ancora aperto sul naufragio».

Ortelli ricorda che «le piattaforme sono di proprietà della Costa Crociere e la rimozione ha un costo alto. Non rimuoverle potrebbe essere interpretato come la concessione di un vantaggio all’azienda, che è il responsabile civile del naufragio. Per questo, credo, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ha parlato di una possibile soluzione che consenta il mantenimento delle strutture ma solo a patto che i risparmi accordati, così, all'azienda siano reinvestiti sul territorio».

Fin qui la politica. Sul versante scientifico, Giandomenico Ardizzone, ordinario di ecologia alla Sapienza di Roma e consulente per il piano ambientale del Giglio, spiega: «Stiamo seguendo il sito dal 2012 e, dal punto di vista biologico, il mio parere rispetto al mantenimento delle strutture sommerse è positivo. Si tratta, infatti, di substrati idonei sia alla fauna ittica sia agli organismi bentonici che si trovano sui fondali. Questi ultimi ricopriranno, nel tempo, le piattaforme e le trasformeranno in un nuovo fondale. Andranno, così, a compensare la perdita di habitat causata dal naufragio e dai successivi lavori sul fondale per recuperare il relitto. Si avranno risvolti positivi, in questo modo, sia per il diving che per la pesca sportiva».

Ma Ardizzone mette in risalto anche aspetti più problematici. «Occorrono – dice – autorizzazioni specifiche per lasciare le strutture in mare, visto che la Conferenza dei servizi ha chiesto di rimuoverle. È necessario, inoltre, valutare la capacità di durata nel tempo dei materiali, realizzati, a suo tempo, per restare in mare un periodo limitato. A questo si ovvia con la manutenzione. Ma qui si apre un'altra questione: bisogna decidere chi sarà il responsabile di questa manutenzione, con i suoi oneri».

Nonostante i nodi da risolvere, tutti gli esperti presenti all’Acquario di Genova concordano sui maggiori rischi della rimozione. «In questo momento - sostiene Riccardo Cattaneo-Vietti, ordinario di Ecologia all’università politecnica delle Marche - l’Italia ha la possibilità di ritrovarsi, senza alcun costo, una barriera artificiale già costruita e posizionata. Demolire queste strutture, oltre all’evidente costo, può essere, ancora una volta, una fonte di inquinamento per quelle acque. A questo punto, è meglio lasciar fare alla natura».

Sulla stessa linea Francesco Cinelli, già professore di Ecologia all’università di Pisa. «A questo punto – sottolinea - la decisione da prendere deve essere invece valutata con grande ponderazione. L’ipotesi paventata è quella non solo di togliere la gran quantità di materiali eterogenei di diversa natura abbandonati sul fondo, e su questo credo che tutti siano d’accordo, ma soprattutto di smantellare le piattaforme di acciaio che hanno sostenuto la Concordia fino al suo rigalleggiamento. Riteniamo che questa seconda operazione sia in grado di arrecare ulteriori danni ambientali invece di restituire il fondale nelle condizioni originarie, come era stato ipotizzato al momento dell'incidente».

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