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Questo articolo è stato pubblicato il 27 novembre 2014 alle ore 06:37.
Tra i rappresentanti del Consorzio Venezia Nuova e i vertici dell’amministrazione regionale c’era un patto corruttivo con il quale i pubblici amministratori si erano impegnati a far passare in favore del Consorzio tutti i provvedimenti previsti dalla legge per la realizzazione del “Sistema Mose”. La Cassazione ha depositato ieri (sentenza 49226) le motivazioni con la quali il 25 settembre scorso, aveva aggiunto il suo no, a quello già pronunciato dal Tribunale del riesame, in risposta alla richiesta dell’ex assessore alle infrastrutture del Veneto Renato Chisso, di tornare in libertà. Le motivazioni arrivano dopo che l’amministratore ha ottenuto il via libera al patteggiamento, per 2 anni e sei mesi, conquistando i domiciliari. I giudici con la sentenza di ieri confermano l’impianto accusativo disegnato dal Tribunale di Venezia, secondo il quale Chisso era nel libro paga del Consorzio Venezia Nuova, dal quale riceveva favori e denaro, circa 200 mila euro l’anno, oltre ad altre somme destinate al Governatore della Regione Giancarlo Galan. Benefit in virtù dei quali si teneva a completa disposizione dei suoi “benefattori”. La Cassazione avalla la scelta di considerare attendibili le chiamate in correità da parte degli altri imputati che, visti i rapporti amichevoli intrattenuti con l’ex assessore non avevano ragioni per calunniarlo. Anche le imprecisioni e le difformità nelle dichiarazioni si spiegano alla luce della frequenza dei versamenti avvenuti negli anni . Nè servono a smentire le accuse il mancato ritrovamento delle somme nel patrimonio personale, perché possono essere state trasferite all’estero, o la circostanza che delle numerose proposte di project financing presentate dal Gruppo Mantovani solo una sia andata a buon fine: l’interessamento è semplicemente risultato vano. I giudici ricordano che la legge Severino non ha del tutto cancellato il reato di corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio, quindi, nel caso esaminato, va tenuta ferma l’imputazione prevista dall’articolo 319 del codice penale, che assorbe tutti i pagamenti illeciti intervenuti nel tempo in un unico reato permanente, la cui consumazione finisce con l’ultimo pagamento.
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