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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2014 alle ore 07:17.
“Anno buco”? Sì, ma per modo di dire: un'esperienza all'estero può potenziare skills e curriculum degli under 30 a caccia di occupazione. Un sondaggio dell'associazione Gap Year ha registrato progressi “significativi” o “decisivi” in 8 casi su 10 per tutte le caratteristiche richieste dalle aziende, dalla comunicazione alla capacità di adattamento. Senza contare i balzi in avanti rispetto ai deficit più diffusi: lingue straniere, esperienze extracurricolari, visione più internazionale e meno “domestica” della ricerca dell'impiego.
Come spiega Beatrice Roitti, socia Gap Year e Associate Partner di Intermedia Selection: «In Italia abbiamo una propensione all'estero ancora piuttosto bassa, se pensiamo per esempio ai casi di Germania, Scandinavia, la stessa Francia. Il gap year permette di andare oltre questo limite».
Gap Year parla di “significativi miglioramenti” in criteri più generali come adattabilità (56%), capacità di comunicazione (53%), capacità di lavorare in team (35%). Roitti si concentra su due skills: perfezionamento delle lingue straniere e una versatilità maggiore nell'approccio al lavoro: «Il primo punto è il perfezionamento della lingua inglese, perché quasi sempre lo si utilizza in circostanze quotidiane e meno ingessate del linguaggio tecnico. E parlare un inglese tecnico è spesso più facile che parlare un inglese quotidiano, dove ti devi esporre ad argomentazioni diverse e variabili». E la adattabilità? «È una caratteristica che le aziende verificano con attenzione – sottolinea Roitti - Perché più il giovane si mostra adattabile, più si armonizza con il “microambiente” dell'azienda e può essere ritenuto un inserimento di successo».
E qui si torna alle origini: l'internazionalità. Il 61% degli intervistati da Gap Year si dice “molto d'accordo” con l'ipotesi di ulteriori esperienze estere. L'età più adatta? Varia. La forbice ideale potrebbe ritagliarsi tra i 19 e i 25 anni, nel periodo canonico per lo svolgimento degli studi universitari. I gap year più efficaci si svolgono nei mesi di stallo tra la laurea triennale (3 anni) e l'inizio dei corsi magistrali o di eventuali esperienze di lavoro o perfezionamento. Il consiglio di Roitti, però, è di non bruciare le tappe: più si è maturi, più si guadagna consapevolezza in vista di un colloquio lavorativo. «La consapevolezza del concetto di internazionalità è una caratteristica che si guarda di sicuro, soprattutto nei giovani – spiega Roitti - Forse se si fa un'esperienza troppo presto la si vive con più leggerezza e non si riesce a monetizzare, meglio affrontarla durante gli ultimi anni di studi per avere il tempo di essere maturi, non solo all'anagrafe».
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