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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 11 dicembre 2014 alle ore 06:40.

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Si addensano le nubi sul settore della calzature: secondo l’indagine congiunturale sui primi nove mesi del 2014 condotta da Assocalzaturifici, la produzione ha tenuto in valore (+0,4%), ma è calata in quantità (-2,3%) ed è mancato il traino dell’export extra Ue, che nel 2013 aveva riportato il settore sopra la soglia dei 200 milioni di paia.

«L’indagine congiunturale di Assocalzaturifici – spiega il presidente Cleto Sagripanti – è purtroppo confermata dai dati Istat, fermi al periodo gennaio-agosto, e che indicano una sostanziale stagnazione per l’export (-0,1% in quantità), con un aumento in valore del 3,9%, legato però all’aumento dei prezzi del 4%». A pesare sul settore è stato soprattutto il calo della Russia (-22,2% in valore), dell’Ucraina (-29,4%) e del Kazakhstan (-14%), che non è stato compensato da altri mercati: «La svalutazione del rublo sull’euro non si ferma e favorisce i produttori cinesi e, in parte, quelli turchi – aggiunge Sagripanti –. Molti nostri associati ci riferiscono che i clienti russi stanno chiedendo sconti del 20% sugli ordini per la primavera-estate 2015. Se a richieste simili si risponde di sì, crollano i margini, se si risponde di no si perde il cliente».

I segnali positivi vengono dagli Stati Uniti, terzo mercato delle calzature italiane dopo Francia e Germania, e dal Medio Oriente: l’export in valore è aumentato, rispettivamente, del 12,2% e del 13% . «Il nostro settore continua a dare uno dei maggiori contributi al saldo commerciale attivo dell’Italia: secondo l’Istat nei primi otto mesi del 2014 il saldo delle calzature è stato di 2,941 miliardi, in crescita dell’1,8% sullo stesso periodo del 2013», sottolinea il presidente di Assocalzaturifici, che rappresenta un settore fatto da oltre 5mila azienda e quasi 78mila addetti diretti. «Ma le performance negative dei mercati dell’Est e del Giappone e il rallentamento di Cina e Hong Kong non ci fanno essere tranquilli né per il dato complessivo del 2014 né per il 2015».

Oltre al cappello di presidente di Assocalzaturifici Sagripanti indossa quello di imprenditore (la sua Italian holding moda ha in portafoglio marchi come Alberto Fermani e Les Tropeziennes) e ribadisce la necessità di lottare per il “made in”, l’etichettatura di origine obbligatoria che l’Unione europea non ha mai varato. «Non dobbiamo farci scoraggiare dal fallimento dell’incontro del 4 dicembre (si veda Il Sole 24 Ore di venerdì scorso), in cui il Consiglio di competitività della Ue ha rimandato ogni decisione, assecondando la posizione della Germania e dei 18 Paesi ad essa allineati. Continuo a sperare nell’impegno del governo Renzi: sono sicuro che continuerà questa battaglia anche dopo la fine del semestre di presidenza dell’Italia».

Il made in è importante per l’export, certo. Ma resta il nodo dei consumi interni: secondo l’indagine congiunturale nei primi nove mesi del 2014 gli acquisti di scarpe delle famiglie italiane sono scesi del 3,5% in quantità e del 6,7% in valore.

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Dati a settembre 2014 (%)

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