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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 14:18.
L'ultima modifica è del 11 dicembre 2014 alle ore 14:21.

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Ai monaci del monastero di Valaam, in Carelia, lo spirito d'iniziativa non manca: dopo aver studiato in Italia, e acquistato i macchinari adatti, hanno avviato la produzione di formaggi italiani – mozzarella, ricotta, caciotta: delicatezze la cui importazione in Russia è bandita, da agosto, mentre Valaam le spedirà alle “lavka”, le bottegucce accanto ai monasteri di Russia.

Non sono le loro caciotte a insidiare la fama del made in Italy in Russia, ma un mercato non resta mai vuoto: quanto più a lungo resteranno in vigore le sanzioni occidentali – e le contromosse russe come l'embargo sui prodotto agro-alimentari americani ed europei – tanto più spazio verrà lasciato alla produzione locale, o alla concorrenza dei Paesi che Mosca ora chiama “amici”. Con il rischio di abituare i consumatori ad altre scelte, anche sacrificando la qualità: «L'effetto terribile delle sanzioni – spiega Armando Ambrosio, partner residente a Mosca dello Studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani - è che nel momento in cui vengono cancellate non torna tutto come prima. Ci vogliono mesi e anni per riguadagnare una fetta di mercato conquistata con tanta fatica».

Preoccupazione condivisa da Maurizio Forte, direttore dell'Agenzia Ice di Mosca. Rispetto agli altri Paesi colpiti dalle sanzioni, dalla Germania agli Stati Uniti, l'Italia è meno penalizzata, considerando i valori assoluti dell'export perso e le percentuali sull'export totale di un comparto. Ma il vero problema è l'impatto del tempo: «Dobbiamo evitare che il perdurare delle sanzioni provochi meccanismi di sostituzione perenni – spiega Forte -. Se i russi si organizzano per produrre più verdura o formaggi, la produzione non si smantella una volta tolte le sanzioni. Rischi di perdere le persone per sempre».

Non si tratta solo di produzione locale: che avrebbe un gran bisogno di essere incentivata a sfruttare meglio le sue potenzialità. Ma «i veri vincitori – osserva Ambrosio – sono i Paesi terzi estranei alle sanzioni, che ora trovano spazi enormi in un mercato che non avevano mai coltivato».

Basta entrare in un supermercato di Mosca per tracciare la nuova geografia: i banchi di frutta, verdura, carne, pesce e formaggi sono dominati ora da Argentina, Cile, Sudafrica, Serbia, Azerbaijan. Pomodori da Marocco e Israele, mango dal Brasile, gruviera dalla Svizzera. Prezzi più alti ovunque, per l'effetto combinato dell'embargo e della pesante svalutazione del rublo, ma ovunque anche una nuova attenzione a promuovere il “made in Russia”.

Se non è possibile prevedere la fine delle sanzioni, si può provare a reagire affrontandole. È quanto ha fatto l'Ice di Mosca: un'iniziativa nata prima che scoppiasse la crisi ucraina, ma che ha assunto poi un significato particolare. “Viva Italia!”, la promozione di prodotti italiani realizzata tra ottobre e novembre nei supermercati della catena “Sedmoj Kontinent” (livello medio-alto) si è trovata a dover escludere, strada facendo, le categorie incluse nella lista proibita dai russi. «Siamo andati avanti lo stesso – racconta Maurizio Forte – con più prodotti non sanzionati: pasta, vino, caffè, olio». Nuovi fornitori e tipologie di prodotto negli scaffali di Mosca ma anche di Perm, Celjabinsk, Rostov, città di provincia con margini di crescita ancora maggiori. Oltre alle promozioni presso i punti vendita della catena, “Viva Italia!” è stata momenti di incontro con chef, sommelier, distribuzione di ricettari e raccolta punti per gli acquirenti dei prodotti in promozione: il ponte tra l'Italia e Sedmoj Kontinent ha tenuto aperto un contatto, sperando di agevolare in un domani anche il ritorno dei prodotti ora esclusi. «È stato un modo per dimostrare che Italia e Russia continuano a mantenere un dialogo – spiega Forte -. Ci sembrava importante dare un aiuto alle aziende italiane e dimostrare ai russi che anche se ci sono incomprensioni, l'amicizia non finisce».

Un altro elemento di novità (e di opportunità) che sta emergendo da una situazione difficile, fa notare Ambrosio, «è il recentissimo incremento esponenziale delle joint-ventures: italiani che entrano in Russia accompagnati da russi». Fenomeno che nasce dall'urgenza dei russi di produrre di più localmente. Le sanzioni hanno chiuso loro l'accesso all'alta tecnologia occidentale, «così ora sono i russi che chiamano gli italiani, chiedendo di avviare trattative per aprire la produzione di quel particolare materiale in Russia». Le sanzioni non si applicano a una controllata russa costituita da una società europea, ai sensi di un diritto diverso da quello della Ue.

Un'altra nuova frontiera non sufficientemente esplorata, «ma che le aziende italiane dovrebbero considerare seriamente – aggiunge Ambrosio -, è l'e-commerce». Che offre la possibilità di esportare in Russia a costi bassissimi, e – per i prodotti sanzionati - senza la concorrenza dei distributori, ora fermi. Il limite è nella quantità, perché l'invio in Russia di prodotti anche sotto sanzione è consentito, ma solo per uso privato.

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