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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 11 dicembre 2014 alle ore 15:57.

A voler guardare il bicchiere mezzo pieno, sono quaranta le vertenze che da febbraio hanno avuto come traguardo la sottoscrizione di un accordo tra azienda e sindacati. A volerlo guardare mezzo vuoto, si contano 19 nuovi dossier che, più o meno negli stessi mesi, sono arrivati al ministero dello Sviluppo economico, con il governo chiamato a fare da arbitro alle trattative tra le parti sociali.
È questo il quadro del Paese che si coglie dai dati del Mise sui tavoli di crisi gestiti dalla task force che fa capo al viceministro Claudio De Vincenti. Un quadro in costante evoluzione che rappresenta fedelmente le tensioni di questa fase delicatissima per l’economia e, di conseguenza, la tenuta sociale dello Stivale. A tutto novembre 2014, presso gli uffici del dicastero retto da Federica Guidi risultano aperti 153 tavoli di trattativa, per oltre 120mila posti di lavoro. Dato da prendere con le pinze quest’ultimo, dal momento che il numero complessivo dei lavoratori delle imprese in trattativa davanti al Mise non coincide con gli esuberi reali. Ma comunque indicativo della rilevanza della posta in ballo. Il numero dei tavoli, rispetto alle precedenti rilevazioni, è leggermente cresciuto: a fine dicembre del 2013 i dossier di crisi erano 147. Anche qui, tuttavia, occorre cautela: al Mise risultano formalmente ancora attivi tavoli già culminati in accordi con i sindacati.
Il caso più evidente è quello dell’Ast di Terni, l’acciaieria del gruppo ThyssenKrupp per la quale a inizio dicembre si è trovata un’intesa che scongiura licenziamenti aprendo le porte a 290 uscite volontarie. Poi ci sono spinosissimi tavoli di crisi in dirittura d’arrivo, come quello per il polo metallurgico Lucchini di Piombino, dove per ora si è trovato un compratore – il gruppo algerino Cevital – ma toccherà ratificare con i sindacati il nuovo piano industriale. O il doppio tavolo dell’industria dei trasporti su gomma con, da un lato, la controllata di Finmeccanica BredaMenarini, dall’altro Iveco Irisbus, ex costola di Fiat Industrial. Anche in questo caso sul versante industriale il piano è avanti (all’orizzonte c’è la newco Industria Italiana Autobus, partecipata da King Long Italia all’80% e da Finmeccanica al 20%) ma per l’intesa con le sigle toccherà pazientare almeno fino alla prossima settimana. Occhio alle new entry tra le vertenze del Mise: tra le partite più complesse si segnalano i casi di Accenture in Sicilia, la cartiera Burgo in Abruzzo e la raffineria dell’Eni a Livorno. Di grande interesse, in ogni caso, la “geografia” della crisi. Dai dati del Mise si evince per esempio che la regione interessata dal maggior numero di vertenze è la Lombardia (33), davanti a Lazio (25), Campania (21) e Veneto (20). A livello delle singole macroaree, comanda il Sud interessato da 61 tavoli, poi il Centro (54), Nordovest (51), Nordest (41) e Isole (17). Tra i settori la leadership è dell’Ict con 13 crisi, in sorpasso rispetto ad automotive (11), edilizia e chimica (entrambe a dieci). Anni fa era il business del futuro. Quel futuro oggi sembra già passato.